“E quindi uscimmo a riveder le stelle”, la magia del Dantedì
Oggi si celebra per la prima volta il Dantedì, un’intera giornata dedicata al sommo poeta Dante Alighieri, simbolo della letteratura e della lingua italiana. Il 25 marzo è, secondo gli studiosi, il giorno dell’inizio del viaggio ultraterreno della Divina Commedia, di questo suo lungo cammino, tortuoso ma salvifico.
Sarebbe ridondante ed arduo tentare di riassumere l’opera nella sua struttura e complessità, con la sua raffinata musicalità e commovente dolcezza, perfezione tecnica e potenza emotiva. Pertanto, qui ci limitiamo ad una sola osservazione, legata all’attualità dei suoi endecasillabi. Infatti, in un momento così complesso quale quello in cui siamo, la lettura di Dante può infondere potenti messaggi di speranza. Perché, a ben guardare, il percorso dell’autore della Commedia non è altro che un procedere dall’oscurità alla luce, da una selva oscura infernale verso la celestiale visione del Paradiso.
È un itinerario faticoso, durante il quale Dante incontra centinaia di anime cogliendo gli effetti, al cospetto di Dio, delle azioni compiute in vita. Emblematica, in tal senso, è la prima Cantica, la più celebre: l’Inferno. I dannati emergono dai versi danteschi nel loro umano dolore, colti nelle terribili pene assegnate per la legge del contrappasso. Secondo quest’ultima la punizione scontata è modellata per analogia sul peccato, per cui ad esempio i golosi sono condannati a vivere e a mangiare nel fango; gli iracondi si percuotono selvaggiamente a vicenda; i ladri sono nudi e con le mani aggrovigliate dai serpenti, e così via.
Lo scenario è spaventoso e soprattutto terribilmente buio. A dispetto dell’immaginario comune, che vorrebbe l’Inferno come un luogo infuocato, costellato di fiamme, quello dantesco è invece irrimediabilmente oscuro, privo di connotazioni coloristiche e luminose, «aura sanza tempo tinta». Le tenebre rendono l’incedere ancor più difficoltoso e sono naturalmente determinate dall’assenza della luce divina, di cui si potrà godere soltanto nel Paradiso. Così, procedendo in questo luogo fosco, in cui risuonano i pianti inconsolabili dei dannati, Dante arriva fino al centro della terra, nel punto più lontano da Dio, dove è conficcato Lucifero, principio di ogni male.
Avendo visionato la nera voragine nella sua angosciante interezza, il poeta può dunque, finalmente, abbandonare lo spazio infernale, fino a risalire sull’altro emisfero dove si trova il Purgatorio.
Quest’operazione è descritta con celeberrimi endecasillabi: «Salimmo sù, el primo e io secondo, / tanto ch’i’ vidi de le cose belle / che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. / E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno XXXIV, 136-139).
In questi eloquenti versi, si coglie un messaggio universale: dopo ogni asperità, torna la luce. Oggi più che mai queste parole si riempiono di fiduciosa speranza: passo dopo passo, tra lacrime e preghiere, la notte oscura terminerà. Torneremo a riassaporare la lucentezza del cielo stellato sopra i nostri occhi, ma per ora restiamo a casa… e leggiamo Dante.
È doveroso precisare, infine, che questa situazione di emergenza che stiamo vivendo ha determinato una riduzione degli eventi previsti per tale prima edizione del Dantedì o, nel migliore dei casi, lo slittamento degli stessi sulle piattaforme digitali.