“Druk – Un altro giro”, l’inno alla vita di Thomas Vinterberg
“Cos’è la giovinezza? Un sogno. Cos’è l’amore? Il contenuto di un sogno”.
È con questa citazione del filosofo danese Søren Kierkegaard che si apre Druk – Un altro giro, il nuovo film di Thomas Vinterberg, vincitore del premio per il “Miglior film straniero” agli Oscar 2021.
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Già dal primo fotogramma di Druk in cui appare l’aforisma, si percepiscono le intenzioni del regista danese. Un omaggio alla vita, alla gioventù e all’amore, nonostante il dolore e le dure prove che ci si trova ad affrontare lungo il cammino. Un dolore che Vinterberg, purtroppo, ha provato sulla propria pelle anche di recente. Durante le riprese del film, il regista ha perso la figlia diciannovenne Ida in un incidente stradale, ma con grande forza ha deciso di continuare a girare. È quello che avrebbe voluto lei. Ida credeva tantissimo nel progetto e da tempo incitava il padre a prenderlo in mano. «Un altro giro è dedicato a lei», ha poi affermato il regista.
Anche il titolo stesso fornisce un indizio: Druk – Un altro giro. In danese “druk” significa “ubriacarsi”. Ma a che giro si riferisce Vinterberg? Il giro di cui ci rende protagonisti assume un doppio significato. Un altro giro di drink, come suggerisce il titolo, è il primo.
Il film vede protagonisti quattro amici che insegnano nello stesso liceo. Martin (un Mads Mikkelsen in stato di grazia), Nicolaj (Magnus Millang), Tommy (Thomas Bo Larsen) e Peter (Lars Ranthe). I quattro stanno affrontando la cosiddetta crisi di mezza età, periodo che porta con sé tante domande e un velo di frustrazione e rimpianto che ognuno di loro avverte sulla propria pelle. Tra le frustrazioni derivanti dal lavoro di insegnante e da un difficile dialogo con i ragazzi, oggi più che mai, tra matrimoni che sono a tanto così dal disfarsi e tra scelte di vita di cui ora pagano il prezzo, Martin, Nicolaj, Tommy e Peter si ritrovano seduti ad un tavolo a discutere di una bizzarra teoria sociale.
Questa è reale ed è basata sugli studi di Finn Skråderud, psichiatra norvegese il quale afferma che gli esseri umani sarebbero dovuti nascere con lo 0,05% di alcol nel sangue. Se questo deficit venisse pareggiato, mantenendo costante la piccola percentuale nel corpo umano, questa porterebbe un leggero senso di ebrezza che renderebbe più serena e facile la vita di tutti i giorni.
I protagonisti di Druk non ci pensano due volte e iniziano un vero e proprio esperimento sociologico e psicologico, con tanto di annotazioni dei risultati e delle varianti. L’esperimento sembra funzionare e in breve tempo i protagonisti si rendono conto di quanto siano diventati più brillanti e sciolti nell’insegnamento e nella vita di tutti i giorni. Ma presto la situazione inizia a sfuggire di mano e il quantitativo di alcol inizia ad aumentare. Il malessere che i quattro protagonisti covano esplode. Ma esplode anche una travolgente e sfrenata voglia di vivere. Di vivere davvero.
Lo psichiatra Skråderud, ovviamente ha affermato che la teoria non è semplice come è stata descritta nel film, ma ha comunque apprezzato tantissimo il lavoro di Vinterberg e lo ha aggettivato come un vero gioiello.
Il regista con la sua opera “alcolica” ribalta completamente la situazione e inserisce l’alcol nella vita di tutti i giorni, in orari in cui nessuno si sognerebbe di farne uso. La società dice che è sbagliato e ci sono momenti precisi in cui è concesso bere un paio di bicchieri. Vinterberg lascia da parte ogni visione moralista della questione e crea un film vivace e carico in cui il politically correct non trova spazio.
Un’opera tra commedia e dramma, una lotta tra depressione e vita in cui alla fine vince quest’ultima. Ed è questo il secondo significato di “Un altro giro”. La scelta di continuare, di andare avanti e di fare un altro giro sulla giostra della vita. Solo la scena finale in cui vediamo Mads Mikkelsen cimentarsi in una scena di ballo che assume la valenza di un vero e proprio viaggio interiore, per poi buttarsi “tra le braccia del mondo” vale l’intero film.
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Dopo Festen – Feste in famiglia (1998) e Il sospetto (2012), senza dubbio le pellicole più famose del regista, quest’ultimo firma la sua opera più personale e delicata. Una storia che ruota intorno al concetto di rivincita. «Un modo personale per elaborare un lutto» ha affermato Vinterberg.
Per quanto riguarda la parte tecnica di Druk si può percepire la purezza delle immagini, insita da sempre nel cinema del regista danese, fin dalla nascita del movimento “DOGMA 95” stipulato insieme al collega Lars Von Trier. Una macchina da presa perlopiù portata a mano che si focalizza sui primi piani e che non lascia scampo ai protagonisti. In questo modo Vinterberg rende partecipi gli spettatori dello stato d’animo e della psicologia dei personaggi. Una macchina da presa che vuole imitare un vero e proprio giro in giostra movimentato e confuso ma che, alla fine, vale sempre la pena rifare.
A Ida.