“Dovremmo imparare tutti dalla vita di Franco Battiato”, il ricordo di Davide Ferrario
“Saranno in tanti a scrivere di Battiato oggi, soprattutto quelli che ne hanno imitato stile, modo di vivere, alcuni addirittura modo di esprimersi e di atteggiarsi. Molti lo descriveranno come un amico, molti si approprieranno di aneddoti, vicinanze, sentimenti, ne faranno tributi, si strapperanno le vesti. Molti ora lo rimpiangeranno in modo vistoso ed eccessivo, millantando rapporti longevi e profondi, trasformando anche questo momento in un’occasione per, ancora una volta, rinvigorire il proprio ipertrofico tremendo ego. Purtroppo siamo fatti così.Io desidero portare la mia esperienza, per me lunga e importante, anche se, in fondo, per lui rimasi sempre e solo uno che suonava la chitarra. Non feci mai nulla di più. A pensarci è paradossale.”
Così ha inizio il ricordo sui social del musicista Davide Ferrario che ha collaborato con Franco Battiato per oltre dieci anni. Si tratta di un omaggio che rende giustizia all’Uomo e all’Artista che era Battiato. Umiltà, generosità, leggerezza, professionalità ma non solo. Chi ha conosciuto e lavorato con l’autore de “La Cura” o “L’era del cinghiale bianco”, solo per citare due delle sue eccellenti produzioni, è in grado di riuscire a comprendere gli insegnamenti, a volte celati o nascosti, che l’artista siciliano era in grado di trasmettere.
Per questo vale la pena riportare la testimonianza del musicista padovano che ha lavorato per anni con lui in tour e collaborato alla creazione di alcuni dischi quali: “Dieci stratagemmi”, “Il vuoto”, “Fleurs” e “Inneres Auge”.
“Dovremmo imparare tutti dalla vita di Franco Battiato, sia d’esempio il suo percorso artistico, libero da ogni condizionamento. Ripenso a quando chiamò tre ragazzi di vent’anni a suonare in un disco di inediti, scevro da ogni pregiudizio, da ogni timore di critica. A quando timidamente gli chiesi: “scusi, vuole che la risuoniamo?” e lui mi rispose: “vuole chi?”, sottintendendo che il “lei” non era gradito. A tutta la sua vita dietro le quinte. La vita di un uomo che amava quello che faceva, ma con la giusta moderazione e il giusto distacco. Un uomo che ha avuto il coraggio di affrontare molte arti, con la disciplina e lo studio che nessuno che io abbia conosciuto poteva permettersi di eguagliare. Senza mai dare scandali, tenendo i suoi affetti, le persone importanti, le sue debolezze e anche le sue forze personali lontane dai riflettori, ponendo al primo posto la sua essenza, ciò che egli faceva, quasi fosse un dono che “viene da un’altra parte”, tendendo sempre a spersonificare la sua opera e raggiungendo naturalmente il risultato opposto, perché la grandezza è fatta così.”
“Dovremmo imparare, perché non ha mai avuto nessuna paura di essere in secondo piano, di venire offuscato, di non essere abbastanza protagonista sul palcoscenico (cosa di cui alcuni altri di gran lunga minori, per spessore in primis, sono terrorizzati, certi aizzati da manager senza cervello) lasciando lo spazio creativo più ampio possibile a chi l’ha circondato, regalando occasioni, opportunità e vittorie, venendo a volte consapevolmente sfruttato, ma a lui non è mai interessato. Dovremmo imparare dalla sua enorme generosità. La generosità di un uomo, sì un uomo, per cui tutto ciò che è materiale non ha mai avuto alcuna importanza se non come strumento per asservire a scopi nobili come la sua immensa arte. Dovremmo imparare dal suo silenzio, da come se n’è andato. Dovremmo imparare dalla sua leggerezza, da quanto amava la vita, dalle risate con chi lo circondava, dal suo profondo rispetto per l’ironia, sale della vita. Una volta, in uno dei pochissimi scambi a tu per tu che negli anni abbiamo avuto, mi disse “Davide, dovresti fare il comico”. Ci sono decine di aneddoti, tra i più divertenti che abbia mai vissuti, permeati dall’umorismo che solo lui sapeva avere. Quel palco era casa mia. Suonare con lui era una vacanza. Dovremmo imparare dalla capacità di delegare, di fidarsi, di apprezzare e scoprire i talenti e lasciare che lavorino esprimendo se stessi, perché solo così si ottiene un grande risultato. Dovremmo imparare dalla sua profonda umiltà, fatta di consapevolezza, di studio profondo della vita e delle scritture, dalla ricerca della verità, seguendo le orme dei mistici, del suo amato Gurdjeff, delle filosofie orientali, senza mai cadere in questo o quest’altro, ma conservando una visione d’insieme, come a scoprire che un unico filo regge l’esistenza di tutte le vite del mondo. Dovremmo imparare ad accettare il tempo che scorre, come faceva lui, perché in questo modo ha saputo restare, mentre le mode passavano. Questo pianeta oggi è un po’ peggiore, senza la sua presenza, ma nel tempo è migliorato grazie all’insegnamento che possiamo trarre dalla sua opera, che rimarrà, per chiunque, eterna ed esemplare. Non ho mai chiamato Battiato “maestro” e non ho mai capito se a lui questo appellativo piacesse. Conoscendolo non credo. Ma di fatto questo è stato, per noi. Per me.Se sono qui a scrivere tutto questo, se qualcuno ascolta le note che produco, suono, scrivo e registro, se abito dove voglio abitare facendo la vita che mi piace fare circondato dalle persone che voglio avere attorno, se quando mi parlano di certa musica e di cose come “i curatori delle playlist di Spotify” mi girano le palle, il merito è solamente suo. Senza Battiato io avrei fatto altro nella vita. Gli devo ogni secondo della mia esistenza. Mi ha insegnato praticamente tutto ciò che so ora. L’ha fatto senza esserne consapevole, forse. Ma io l’ho osservato per tantissimi, forse dodici, anni di collaborazione. Ho compiuto trent’anni, mentre ero in tour con lui. Ci sono cresciuto. Dovremmo imparare dalla sua visione della morte, che si affronta con serenità perché è parte di un’esistenza più ampia per cui il nostro passaggio qui è una ridicola inezia. Dicevo, in molti scriveranno di lui oggi, perché Battiato è sempre stato così. Era impossibile non sentirsi istintivamente legati a lui. Tante persone hanno vissuto e vivranno ancora alla sua ombra. Mi venisse un accidente se oggi non penso che avrei voluto chiedergli di più, imparare di più. Maledetto quel mio senso di timore, di voler restare sempre in disparte, di non voler mai rischiare di sembrare un approfittatore o un opportunista, mentre altri traevano deliberatamente vantaggio della sua generosità. Ma forse, in fondo, come direbbe il suo amico e collaboratore Manlio Sgalambro, è vero che “tutto si dissolverà”.
Foto in evidenza di Marco Di Gennaro