Parole & Suoni, quando Modugno mise in musica Pasolini e Quasimodo
Domenico Modugno non è solo “Nel blu dipinto di blu” e “Meraviglioso”. Così come Pier Paolo Pasolini non è solo “Teorema”, “Petrolio” e “Le ultime giornate di Sodoma”.
Se da una parte il pugliese di Polignano a Mare è considerato uno dei padri della musica leggera italiana, lo scrittore e regista bolognese è un punto di riferimento per la letteratura del secondo dopoguerra. Ma sopratutto per tutta la corrente neorealista. Sia in campo letterario che cinematografico.
I due artisti hanno incrociato le loro strade nel film a episodi “Capriccio all’italiana” del 1968. Nella puntata “Che cosa sono le nuvole?”, diretto proprio dal Maestro, vi è una rivisitazione dell’Otello di Shakespeare dove le marionette protagoniste sono Totò, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Ninetto Davoli, Laura Betti e Adriana Asti.
Nel cast compariva anche Domenico Modugno nel ruolo del “monnezzaro” che raccoglieva le marionette buttate cantando la canzone omonima del film. Quella “Cosa sono le nuvole” scritta proprio da Pasolini.
Un brano apparentemente semplice, una metafora della vita e dell’amore. Tutto accompagnato dal più italiano degli strumenti musicali: il mandolino. Il quale si combinava con il contrabbasso, la chitarra, tastiere.
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”Ah, malerba soavemente delicata / di un profumo che dà gli spasimi / ah, tu non fossi mai nata!”.
Questa frase pasoliniana è una trasposizione delle parole di Otello a Desdemona, quando lui è ormai in preda all’amore che lo rende pazzo.
La poesia, che come sosteneva continuamente De André è diversa da una canzone, creava così suggestioni alle quali Modugno dovette ispirarsi per creare la musica che accompagnasse le parole di Pasolini. E la sua voce si accordò magnificamente. La sua abilità nel sottolineare alcune parole fondamentali divennero un’altra chiave del successo di questa canzone e dello stesso film. L’enfasi che mise in questa sua interpretazioni rimane una delle migliori della sua carriera. Sia di cantante che di attore.
Il film fu l’ultimo di Totò, quel “assurdo Totò, l’umano Totò, il matto Totò, il dolce Totò” che lo stesso cantante pugliese cantava nei titoli di testa.
Modugno è uno dei pochi a esser riuscito a combinare efficacemente poesia e musica. Quelle due arti da molti viste come arte superiore e arte popolare. Ne è un altro esempio il rapporto con Salvatore Quasimodo, il quale gli permise di utilizzare due sue poesie come testo per le sue canzoni “Ora che sale il giorno” e “Morte chitarre“.
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Quest’ultima è un inno alla nostalgia della Sicilia. L’isola alla quale molti credevano Modugno appartenesse. Qui Quasimodo innalza il ruolo del poeta che ha onere e onore di descrivere il mondo con immagini che accendono i cuori. Quei cuori che la guerra ha spento.
E il “rapsodo, un cantante di monodie o di architetture corali”, come il poeta di Modica descrisse il cantante italiano, grazie alla sua vitalità, alla sua prorompenza, ottenne questo ruolo. Quello di mettere in musica le parole di uno dei poeti più importanti del ‘900 italiano.
In Domenico Modugno, simbolo della musica italiana degli anni ’60 e ’70, trovarono sintesi le parole e i suoni. La poesia e la musica. I versi poetici e quelli ritmati delle canzoni.