Stop al politicamente corretto: Disney e Amazon verso Trump
Lo tsunami Trump non è ancora arrivato e fa già sentire i suoi effetti.
Meta, con a capo il CEO Mark Zuckerberg, infatti ha virato verso la cancellazione dei fact checkers dalle sue piattaforme in nome della “libertà d’espressione”. Pertanto si va verso la rimozione della censura in stile X di Elon Musk.
A seguire, sempre abbastanza in linea con la politica trumpiana, colossi come McDonald’s, Ford, Harley-Davidson, Amazon e Disney danno una svolta alle linee guida che in questi ultimi anni sono stati criticati e divenuti sinonimo di politicamente corretto.
In particolare la Disney che, con la tendenza alla cultura woke, ha a più riprese deciso di modificare storie tradizionali in nome dell’inclusività. Scatenando, però, critiche a non finire. Come nel caso della nuova Cenerentola con la fata turchina interpretata da un attore afro-americano omosessuale. O come nella moderna Sirenetta dove Ariel è stata rappresentata sempre da un’attrice di colore.
Ma anche tutte le avvertenze poste ad inizio dei cartoni animati e film proposti sulle proprie piattaforme, attraverso le quali si metteva in guardia lo spettatore da personaggi degli Aristogatti, di Dumbo, rei di essere portatori sani di pregiudizi e discriminazioni razziali. Roba da mani nei capelli. Come se un razzista qualunque avesse cominciato ad odiare i cinesi a causa dei gatti siamesi di Lilli e il vagabondo o a causa del gatto randagio della banda di Scat Cat.
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Ma l’odiato (neanche troppo visti i risultati elettorali) Trump ha portato una nuova ventata a stravolgere gli studi dei colossi sopra citati. In particolare in quelli della multinazionale fondata nel 1922 da Walt Disney.
Quest’ultima ha infatti deciso, già a dicembre, di eliminare una puntata del cartone animato “Moon Girl and Devil Dinosaur” negli Usa, dove era presente un personaggio trans. Un bel passo indietro se si pensa a quanto l’azienda ha tentato di fare in ottica di inclusione.
“Quando si tratta di contenuti animati- ha spiegato il colosso americano– per un pubblico più giovane, riconosciamo che molti genitori preferirebbero discutere determinati argomenti con i propri figli secondo i propri termini e tempistiche”.
Inoltre anche la Disney Pixar ha modificato il prodotto previsto per febbraio 2025 “Win or Lose”, eliminando, anche in questo caso, lo sviluppo di un personaggio trans, che rimarrà nel copione, modificandone però “l’identità di genere”.
Per molti c’è lo zampino di Trump, da sempre abbastanza contrario a determinate forzature di sceneggiature e politiche inclusiviste fino all’ossessione.
Che sia stato lui (tra l’altro ancora non si è insediato) o meno c’è da dire che forse la Disney, come le altre grandi aziende sopra citate, hanno dato un occhio al mercato e alle polemiche che sono conseguite in base ad alcune scelte.
La stessa Disney nell’ultimo anno ha fatto registrare numerose perdite (per saperne di più CLICCA QUI) e numerosi licenziamenti consequenziali alla diminuzione di pubblico e abbonati. Dovuti, d’altronde, soprattutto alle decisioni troppo politically correct e l’inserimento di tematiche (soprattutto quelle legate ai generi non binari) di cui molti genitori preferirebbero parlarne prima a casa.
Si è di fronte a un bel passo indietro rispetto a quanto voluto e perpetrato in questi ultimi anni di ossessionata inclusività. Come detto più volte da questo giornale è giusto affrontare determinati temi e dare spazio a minoranze (parola che già di per sé può risultare discriminatoria, ma tant’è). Ma è altrettanto vero che il troppo stroppia. Nel senso che forzando la mano eccessivamente, volendo per forza stravolgere alcune tradizioni, in questo caso fiabe e favole divenuti cartoni animati storici, si rischia solo che un effetto contrario.
Non si sa se il cambio di rotta attuale sia dettato da cambi di mentalità o dovuti ad una lettura economica delle critiche. Ma per ora Trump e la sua antipatia verso la cultura woke possono sorridere. Che sia lui o meno l’artefice.