Joël Dicker, ritorno da animale selvaggio (recensione)
Joël Dicker è tornato nelle librerie italiane lunedì 25 marzo. Mancava da 2 anni quando pubblicò il giallo “Il caso Alaska Sanders”.
Il suo ritorno è “Un animale selvaggio”. Un thriller di oltre 400 pagine edito da “La nave di Teseo”.
Il giovane scrittore svizzero aveva abituato il suo pubblico a gialli con morti, sparizioni, violenze e scheletri nell’armadio di intere comunità. Questa volta cambia. Rimangono gli scheletri nell’armadio, questa volta solo dei protagonisti Arpad, Sophie e Greg, e il solito mistero di sottofondo che accompagna il lettore per tutti i capitoli.
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Al solito Dicker riesce ad incollare il lettore alle sue pagine, con balzi temporali che solo un po’ alla volta svelano segreti dei protagonisti delle loro vite precedenti e dei perché sono arrivati al punto di non ritorno.
Quest’ultimo è la rapina in una gioielleria di Ginevra, location principale del romanzo. I protagonisti si muovono nella cittadina svizzera facendo di tanto in tanto qualche passaggio in Francia, a Saint-Tropez.
Il nuovo libro è in pieno stile dickeriano. Una forma semplice, avvolgente e coinvolgente. In alcuni momenti si avverte una corsa contro il tempo dei personaggi che assale il lettore pagina dopo pagina. A differenza degli altri romanzi questa volta sono molti di meno i personaggi che entrano nella storia per avere un ruolo determinante.
Una storia di borghesi apparentemente felici, ex galeotti anarchici e poliziotti guardoni. Un intreccio di storie che attraversa quasi 15 anni. Il tutto con un piccolo omaggio all’Italia e alla sua letteratura. Il Belpaese diventa anche fondamentale per capire il significato del titolo.
Joël Dicker aveva dichiarato che questo nuovo romanzo sarebbe stato una sorta di sua evoluzione: “Non lo so esattamente, ma sento che la mia scrittura si sta evolvendo, il che è abbastanza normale: col tempo, maturo io e con me il mio lavoro. Non so ancora quale sarà il prossimo passo”.
E ci è riuscito. Ha lasciato da parte alcune fantasie che gli hanno attirato più di una critica (in particolare per “L’enigma della camera 622”) e ha puntato più sulla facilità di trovare riscontri nella realtà dei personaggi e sulla loro capacità di essere molto meno perfetti di quello che inizialmente si pensa.
Ma al tempo stesso gli scheletri che hanno tentato di nascondere negli armadi escono fuori e diventano la loro forza. Come un animale selvaggio che si libera dalla gabbia.