“Dark Matter”: un’esperienza sonora e visiva con i Pearl Jam al cinema [recensione]
In contemporanea mondiale, anche i fan italiani dei Pearl Jam hanno potuto ascoltare in anteprima “Dark Matter”, in una selezione di sale cinematografiche. Un doppio ascolto, in Dolby Atmos dove disponibile: prima in una sala buia con solo la musica in riproduzione e poi una seconda volta, con aggiunte visive sullo schermo durante la riproduzione. I problemi acustici e i ritardi non sono mancati ma il duplice ascolto ci ha permesso un’idea più concreta sulla nuova produzione.
Sfumature sperimentali da “Vitalogy” a “No Code”, aggressività da “Vs”, rifiniture chitarristiche alla “Yield”, ma anche la maturità negli arrangiamenti di “Gigaton”, sebbene la produzione continui a non convincere appieno, come è stato per “Earthling”, l’ultimo lavoro solista di Eddie Vedder, anch’esso firmato da Andrew Watt che si è “fatto le ossa” con Iggy Pop, Ozzy Osbourne, The Rolling Stones.
Le impressioni del primo ascolto al buio vengono accentuate dalla seconda riproduzione accompagnata dal “visualizer” sullo schermo. I soli di Mike McCready suonano viscerali e dinamici. Il suo compagno di sei corde, Stone Gossard, crea riff accattivanti seppure a tratti ripetitivi, nel tentativo di gettare le fondamenta dei brani che si ricordano di più. Il bassista Jeff Ament si muove freneticamente. Matt Cameron ci dà dentro e questo lo si era capito. E la voce di Vedder appare in forma anche se fin troppo effettata.
Un album veloce, a tratti divertente, con pochi brani memorabili, anche se qualcosa rimane addosso a partire da “Scared of Fear” la traccia di apertura che convince già dal primo ascolto. Chitarre sfumate e una melodia da stadio direttamente dal loro periodo d’oro. Vedder canta con una riflessione piena di vigore: “We used to laugh, we used to sing, we used to believe”.
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“React, Respond” arriva ancora più diretta nel suo sguardo punk alla maniera di “Vs”, con tanto di un urlo alla Roger Daltrey da parte del superfan Vedder e chitarre stridule che cercano il climax. Il riff in sé non è nulla di speciale, tuttavia. La midtempo “Wreckage”, come altre canzoni su “Dark Matter”, tenta la riconciliazione in mezzo al conflitto: “I no longer give a fuck [about] who’s wrong and who’s right”.
Arriva così “Dark Matter”, primo singolo e title track di cui avevamo già parlato, un pezzo che sembra scritto per la rotazione radiofonica. “Won’t Tell” è fatta di una serie di porte che si aprono e si chiudono. Si arriva così a “Upper Hand”, altra ballata con finale in crescendo.
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Si arriva così “Waiting for Stevie”, altra bella sorpesa, insieme alla opener. La canzone, scritta durante le sessioni per l’album solista di Vedder mentre lui e Watt stavano aspettando che Stevie Wonder arrivasse in studio, è una che ti coglierà di sorpresa. Trasmette gravi vibrazioni alla “Given To Fly” fino alla sua seconda metà, durante la quale McCready esplode con un assolo di chitarra di quasi 90 secondi e Cameron assiste con un battito di tamburi tumultuoso. Dunque “Running”, l’altro singolo che si lancia in avanti per 140 secondi come se avesse qualcosa da dimostrare. “Something Special”, con buona pace di chi ha scelto questo titolo, di speciale ha veramente poco, almeno a livello musicale. Il testo però c’è e arriva tutto, specie a chi ha figli. Meglio “Got to Give” che recupera il groove accompagnando gli ascoltatori al finale di qualità, quel “Setting sun” evocato già nelle liriche di inizio album. Un ottimo aggancio ai titoli di coda.