“Dante”, di Pupi Avati: recensione
Contiene spoiler
“Io Dante sempre come un ragazzo me lo sono immaginato.” Dichiara un commosso Boccaccio interpretato da Sergio Castellitto nei minuti conclusivi della pellicola. Ed è proprio questo il concetto alla base dell’ultima fatica di Pupi Avati che, nella toccante apertura del film, si rivolge direttamente agli studenti, ai ragazzi, augurandosi di poter offrire loro una prospettiva inedita del poeta, un taglio molto più umano, che possa avvicinare chiunque.
Il Dante di Pupi Avati è timoroso anche solo di proferir parole davanti all’amata Beatrice, è un uomo fatto di carne ed ossa, che combatte a cavallo con l’armatura sporca di fango, soffocato dai debiti, che ambisce alla carica di priore, che ama la sua Firenze e per cui prova nostalgia. È un Dante che vive a fondo la sua amicizia con Guido Cavalcanti, maestro poeta, solidale di battaglia e compagno con cui condividere le notti sfrenate passate a festeggiare con le peripatetiche. Pupi Avati si sporca le mani, ci mostra un Dante estremamente fisico e corporale, basti pensare alla sequenza in cui lo vediamo defecare nei pressi di un fiume assieme ad altri soldati.
Ma è anche un Dante che soffre, che si commuove quando ascolta la storia di Paolo e Francesca, che si dispera quando condanna Guido Cavalcanti interrompendo la loro fraterna amicizia. Vengono affrontati i traumi del protagonista, le tre perdite che di più l’hanno tormentato: quella della madre, di Beatrice e di Firenze. Alessandro Sperduti ci regala una recitazione irta di pathos per il suo giovane Dante, Castellitto incarna un Boccaccio forse stanco ma determinato a tutto pur di narrare del Sommo Poeta, definendolo il padre di tutte le sue gioie.
La narrazione a cornice funziona perché considera anche l’eredità del poeta che Boccaccio per primo decise di tramandare avendone compresa la portata, l’autore del Decameron infatti fu il primo biografo di Dante Alighieri. D’altro canto però, questo modo di narrare potrebbe risultare fuorviante agli occhi di altri spettatori, dovendo necessariamente togliere del tempo ai 94 minuti totali che ambiscono a condensare l’intera vita di una delle figure più importanti di tutta la civiltà europea (quanti altri personaggi possono vantare di essere raffigurati sulle monete da un euro?).
Vengono tralasciate infatti alcune figure che furono importanti nella vita professionale e privata di Dante, basti pensare ai poeti stilnovisti Brunetto Latini e Lapo Gianni, amici e maestri per Dante al pari di Cavalcanti, che però non vengono neanche menzionati nel film. Anche alla Commedia è dedicato uno spazio molto ristretto, ma forse questo dettaglio è coerente con la visione del Dante uomo che Avati si è prefisso di mostrarci. Nota d’elogio alle musiche e alla scenografia.
Impossibile non menzionare l’apparizione di Alessandro Haber, già collaboratore di Avati in Regalo di Natale e Rivincita di Natale, stavolta nei panni di un monaco che spiega a Boccaccio quanto la Chiesa dell’epoca considerasse alcuni versi del poeta eretici.
Nel complesso quindi non un capolavoro, ma sicuramente una visione originale di una delle figure d’Italia e d’Europa più rappresentate in altre opere, e cadere nel banale o nel già visto sarebbe stato estremamente facile. Avati costruisce un ponte tra gli studenti di oggi e il poeta di un tempo, puntando su una biografia narrata da una prospettiva interessante, una storia che tralascia diversi aspetti della vita del poeta per regalarci al meglio tutta la sua vulnerabilità.
Di Andrea Genovese