Dal “Gigante” sumero a Ganimede: le origini mitologiche dell’Acquario o “portatore d’acqua”|ArcheoFame
L’Acquario è un bel giovane che regge un’anfora da cui fuoriesce acqua che si riversa nella bocca del vicino Pesce Australe. La sua posizione nel cielo è, infatti, tra la costellazione del Capricorno e quella dei Pesci. E le sue origini sono antichissime.
Mesopotamia
Tutti i segni caratterizzati da una relazione con la sfera acquea vengono spesso associati al dio Enki/Ea. Nume tutelare delle acque dolci sotterranee, della saggezza e della magia, Enki/Ea è una delle principali divinità del pantheon sumerico. Figlio dei “primordiali” (Titani) Tiamat (acque salate) e Apsû (acque dolci).
Da questo dio sono regolate le piene dei fiumi, a lui è noto il numero di tutti gli astri. potenza creatrice per eccellenza, plasma l’uomo dall’argilla. Risiede negli abissi più profondi e viene spesso rappresentato mentre è a riposo o dorme, come gigante steso circondato dalle acque. Un’ iconografia più frequente rappresenta il dio con in mano un proprio un vaso zampillante da cui esce un fiume. Proprio come nella raffigurazione dell’Acquario, che in sumerico era detta appunto, il Gigante (MULGU.LA): un uomo con un vaso in mano da cui sgorgano le acque.
Un’altra coincidenza è che simbolo del dio Enki/Ea è il pesce-capra, o carpa-capra che unisce in sé le due principali sfere d’influenza del dio, la conoscenza (capra) e le acque (carpa) che rappresentava anche il fiume Tigri. Lo stesso pesce-capra diventerà poi per i greci il simbolo della costellazione del Capricorno, anche questa, come l’Aquario, legata al modo delle acque.
Grecia
Ganimede era un principe, figlio del re Troo che diede il suo nome alla città di Troia e alla stirpe dei troiani. Considerato il più bel giovane del mondo, fu corteggiato da numerosissime divinità come Eos, la dea dell’Aurora, e Zeus in persona, il cui desiderio di possedere il giovinetto, anche fisicamente, lo portò a rapirlo. Assumendo le sembianze di un’enorme aquila afferra il giovane mandriano che badava alle greggi, e lo porta sull’Olimpo. Gli dona l’immortalità e ne fa il coppiere degli dei: dall’anfora che sorregge infatti, sgorgherebbe Ambrosia, il nettare degli dei.
Il mito di Ganimede ci è arrivato da numerose fonti come Omero, Pindaro, Ovidio, era molto popolare in Grecia e lo divenne in seguito anche a Roma. Questa storia offriva infatti una giustificazione mitica alla pederastia, il rapporto amoroso tra uomo adulto e un ragazzo ancora in tenera età, tanto diffusa tra i greci. Proprio per questo particolare aspetto dei racconti che ruotano intorno alla figura di Ganimede, si è ipotizzato che il mito sia nato a Creta, le forme arcaiche più note di pederastia arrivano proprio dal regno minoico e sono conosciute come “pederastia cretese”.
Con la definizione di pederastia cretese, ce ne parla Strabone, si intende un rapimento “rituale” da parte di un uomo adulto facente parte dell’elite guerriera, nei confronti di un ragazzino di nobili origini con il consenso del padre del ragazzo.
L’uomo più grande, qui chiamato “philetor”, portava con sé il giovinetto, “kleinos” (vuol dire “glorioso”, perché era stato capace di distinguersi e farsi riconoscere dall’amante) in posti nascosti e lontani dove vivono cacciando e condividendo il “letto”. Se il giovinetto, al termine del periodo di convivenza, si dimostrava soddisfatto di come l’adulto lo aveva trattato diventava “parastates”, a questo punto quel rapporto intimo poteva continuare anche pubblicamente.
Lo scopo di tale tradizione era quello di iniziare i giovani all’età adulta, insegnando loro le competenze “base” di un vero uomo”. Inoltre si dava prova al proprio compagno di valore e nobiltà d’animo, l’ ”amato” che era di norma un uomo rispettabile, veniva emulato: si riconoscevano così gli uomini “migliori” della comunità. Forse era nato come un modo per tenere sotto controllo l’aumento demografico, poi la situazione sembra essere decisamente sfuggita di mano!