Cosa significa Incel e cos’è la Manosfera: perchè tutti parlano della serie ‘Adolescence’

Un mese fa parlavano tutti di Lucio Corsi, ora l’Italia non fa altro che parlare di ‘Adolescence‘, la nuova miniserie Netflix che è diventato un vero ‘caso’ televisivo e non solo. La serie inglese, diretta da Stephen Graham che nella serie interpreta il ruolo del padre del protagonista, racconta la vicenda di un adolescente, un ragazzino di 13 anni dalla faccia pulita, che viene arrestato per aver ucciso a coltellate una ragazza che frequenta la sua stessa scuola. Un omicidio efferato che lui ha effettivamente commesso. Ma di cui nessuno capisce il perchè.
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La serie, girata con la tecnica particolarissima del piano sequenza unico (le quattro puntate sono riprese tutte d’un fiato senza stacchi o piani visivi diversi), racconta proprio lo choc che questa vicenda provoca sulla famiglia, assolutamente impreparata a una verità del genere (e chi lo sarebbe?), che suo malgrado si trova a scoprire un mondo di cui non sapeva nulla. Un mondo di fatto di social e complessi esistenziali, di parole dette dietro, etichette, odio, linguaggio in codice, senso di esclusione e rabbia, che è quello in cui vivono immersi il 13enne e i suoi amici. Un mondo dove una banale ‘faccina’, una emoticon messa a commento di una foto su Instagram, può significare un’offesa mortale, un affronto, o peggio ancora una sentenza di condanna. Come salvarsi da tutto ciò? Come salvare i nostri adolescenti?
IL VASO DI PANDORA E IL SUCCESSO DELLA SERIE
È proprio questo interrogativo che la serie scatena, aprendo un vaso di Pandora su uno spaccato generazionale oscuro, difficile da capire e cogliere se non ci si è dentro. E solo gli adolescenti ci sono. Uno spaccato che colpisce e lascia allibiti (molti critici hanno scritto che la serie “toglie il fiato” ed è come “un pugno nello stomaco“), nella sua gravità, pesantezza. E sproporzione, anche. Ed è proprio per questo che la serie sta riscontrando un successo stratosferico, in Inghilterra dove è stata girata ma anche in tutto il mondo. Perchè l’immedesimazione per chi è genitore (e sono tanti, tantissimi) è immediata, ma l’interrogativo su un sottofondo sociale di questo tipo, che guida o meglio ‘inquina’ la testa dei teenager di oggi, attanaglia anche chi genitore non lo è.
Perchè se l’effetto dei social sui ragazzi e ragazzini è questo, dove andremo a finire? Se gli adolescenti sono prigionieri di idee tossiche, complessi esistenziali e commenti virtuali così distanti dal mondo reale, come si può rimediare? Adolescence parla di bullismo, sessismo, genitorialità e dei rischi che si corrono oggi nel periodo dell’adolescenza, cercando forse di mettere in guardia i genitori e tutta la società su una realtà e su fenomeni che ancora si conoscono troppo poco. E racconta la dimensione di giovani arrabbiati, cupi, insofferenti e irrispettosi dell’autorità (basta guardare ai rapporti disgregati e al limite dell’assurdo che si vedono nelle scene girate all’interno della scuola).
LE EMOTICON (E IL LORO VERO SIGNIFICATO)
Ad esempio, non tutti sanno che una emoticon, per un ragazzino di 15 anni, può avere un significato che va ben oltre la faccina di per sè. A spiegare queste cose nella serie è Adam, il ragazzino figlio dell’ispettore a cui è affidata l’indagine su Jamie: ha un anno più di lui, 14 anni, e frequenta anche lui lo stesso istituto dove andavano l’assassino e la vittima. Dopo aver visto il padre brancolare nel buio per trovare una ragione a questo assurdo delitto, il ragazzino lo prende da parte e gli spiega alcune cose. I cuoricini messi sui social? Hanno un significato diverso a seconda dei colori. Rosso significa una cosa, giallo un altro, viola un altro ancora. E poi le emoji: “100”, “dinamite” e “pillola rossa”, che sono simboli della cosiddetta cultura Incel. Dove ‘incel’ sta per ”involuntary celibate‘, vergini non per scelta loro ma perchè non voluti da nessuno, scartati. Tanti, prima di aver visto questa seria, non ne sapevano niente. Meglio informarsi.
LA SOTTOCULTURA INCEL E LE EMOJI
La dinamite sarebbe proprio un simbolo della cultura Incel. E il numero 100 è un riferimento alla teoria 80/20 per cui l’80% delle donne è attratto solo dal 20% degli uomini, quindi alcuni verrebbero proprio scartati a prescindere, condannati a restare vergini perchè considerati ‘brutti’ o per colpa della selettività delle donne che ‘scartano’ gli uomini e li discriminano. E questo concetto alimenta la subcultura Incel, intrisa di misoginia e odio verso le donne, che si ritrova in molti forum e community online maschili. Anche la pillola rossa è legata a questo, perchè qualcuno può venire ‘redpilled’, ‘redpillato‘, ovvero bollato come vergine a vita. E sono proprio queste emoticon, che la vittima aveva messo nei commenti ad alcuni post di Jamie sui social dopo aver rifiutato di uscire con lui che glielo aveva proposto, a scatenare la rabbia e frustrazione che hanno portato il 13enne a ucciderla. Un’etichetta pubblica, quella di ‘vergine a vita’, che la ragazzina gli aveva dato e che lo aveva messo alla gogna davanti a tutti. Lo si scopre nella terza puntata, quella del drammatico confronto con la psicologa.
LA MANOSFERA
Nella serie Adolescence si parla anche di “manosfera“, che è appunto l’ambiente dove prende piede la cultura Incel: forum e comunità online che promuovono la misoginia, l’antifemminismo, il sessismo e la supremazia maschile. Una rete che incoraggia all’odio e al risentimento verso le donne, promuovendo maschilismo e machismo. Idee tossiche che prendono piede nella mente dei giovani, a volte troppo giovani. Gli incel, a sentire gli psichiatri, cominciano a sentirsi tali (e a sviluppare rabbia) alla fine dell’adolescenza, verso i 18-20 anni. Prima è difficile. Ma questa serie choc racconta i concetti che serpeggiano tra gli adolescenti fin da prima, da un’età giovanissima, nella quale i ragazzini fanno anche fatica a distinguere il peso delle cose (reali e virtuali). E dove un mix di cyberbullismo e insicurezza può spingere anche a commettere un crimine gravissimo che rovinerà loro la vita per sempre.
LA TRAMA DI ADOLESCENCE
La serie non si basa sua una storia vera ma verosimile. Il 13enne Jamie Miller, bravo a scuola, faccia pulita e assolutamente insospettabile, una mattina viene arrestato per l’omicidio di Katie, una sua coetanea. La Polizia fa irruzione in casa sua, con modi duri, puntando i mitra e sconvolgendo per sempre a vita del ragazzino e di tutta la famiglia. La serie mostra l’arresto, l’arrivo alla stazione di polizia, la cella, la perquisizione, il cambio di vestiti, il colloquio con padre e avvocato e poi l’interrogatorio. Dove al giovane vengono mostrate le immagini del delitto riprese dalle telecamere. Fine dei giochi, è colpevole. Ma il coltello non si trova. Vengono interrogati gli amici.
E poi, nelle successive due puntate, si passa a più di un anno dopo, col giovane Jamie in cella da ormai da 13 mesi e il processo alle porte. Qui si vedono i colloqui con la psicologa in carcere, davanti a cui a un certo punto Jamie perde completamente le staffe ed esplode in una crisi aggressiva impressionante (dando una prova di recitazione notevole per il protagonista Owen Cooper, incredibilmente alla prima esperienza) e i genitori dilaniati dai sensi di colpa e sfiniti nell’interrogarsi sull’educazione (sbagliata?) che hanno dato al ragazzino e sul non aver saputo capire. Il finale della serie è aperto e toccante e lascia molti interrogativi sul destino di Jamie e della sua famiglia. Con un colpo di scena, il 13enne decide di dichiararsi colpevole, rinunciando a difendersi. Non è dato sapere il suo destino. Il padre, disperato, nella scena finale entra nella cameretta di Jamie e rimbocca le coperte al suo peluche. Scoppiando a piangere e dicendo: “Mi dispiace, avrei voluto fare di meglio”.