Cosa ci resta dei live action Disney
È passato un anno dall’uscita dei due live action di punta di Disney: Aladdin e Il re Leone. Hanno battuto ogni record di incasso e di recente sono tornati in streaming per rinnovare un successo senza freni, l’inizio di una lunga serie stando alle intenzioni Disney – già annunciati Mulan e La Sirenetta. A distanza di un anno è possibile interrogarsi più a freddo su quali impronte stia lasciando nel cinema una nuova generazione che ha rinunciato all’animazione per il fotorealismo sfrenato e indicare la direzione che la nuova filosofia Disney ha deciso di assumere con i millenials.
Prima di tutto, perché i live action? Disney ha alcuni cavalli di battaglia senza tempo: sia Aladin che Il Re Leone uscirono imponendosi da subito come degli instant classic – Il primo ha lanciato il miglior villain del cinema d’animazione occidentale, il secondo ha saputo vendere a un pubblico di infanti una tragedia shakespeariana. Ogni successo impone un mercato collaterale che dopo trent’anni va rinnovato (questione di diritti ma anche di ricambio generazionale): ecco allora che i live action sono non il fine ma lo strumento perché un fortunato merchandising possa riprendere linfa vitale.
Possiamo immaginare disneyworld senza le truppe imperiali e il consueto musical sul Re Leone? C’è poi l’annosa questione del nuovo gusto generazionale: i millenials – ma non è un termine dispregiativo – hanno una concezione di estetica diversa dalle generazioni passate perché diverse e ben diversificate sono le possibilità che il mondo moderno dà loro a disposizione: un ragazzo del 1990 è cresciuto con ciò che i propri genitori guardavano in televisione, bene o male roba tagliata per un pubblico medio-adulto con personaggi adulti interpretati da attori altrettanto adulti.
In generale, non c’era una vasta libertà di scelta, e perché non esisteva YouTube e perché non c’erano piattaforme diverse dalle massimo due televisioni casalinghe. I ragazzi degli anni 2000 sono cresciuti in un mondo evidentemente più ricco di opportunità d’intrattenimento: ci sono i giovanissimi YouTuber che parlano un po’ di tutto, dal cinema alla musica fino ai vlog e alle webserie, ci sono gli influencer diffusi ad ampio raggio su tutti i social network, c’è tik tok e una serie TV o un film possono essere visti anche su un tablet o su un telefonino.
Più scelta significa anche fare una cernita di contenuti: meglio guardare i giovani, il palinsesto su internet ammette raramente un boomer se non è bello e non dice cose melense. I live action in questo senso hanno seguito la corrente: un grande villain come Jafar, che faceva della sua bruttezza, dell’anzianità, della brama secolare di potere la fonte stessa della sua cattiveria, diventa un giovane belloccio con una voce suadente. La domanda va fatta: a questo punto, quale folle Jasmine sceglierebbe Aladin? Scar è un ibrido indescrivibile.
Si comporta come un giovane ma è costretto dalla storia ad essere lo zio vecchio. Quando dopo vent’anni Simba torna alla rupe dei re, la logica vorrebbe Scar morto, è invece sta meglio di tutti. Jasmine ha due brani di punta, entrambi sul potere delle donne.
Il fatto che tutti i personaggi tirino avanti la storia attraverso le iconiche canzoni senza menarsela sulla propria bontà mentre l’unica donna della storia debba parlare di sé come di un’eroina è una scelta anche qui generazionale, forse non una di quelle di cui andar fieri.