Corde, cappucci e satire: i riti più suggestivi della Settimana Santa in Abruzzo
Fede e folklore sono spesso due facce della stessa medaglia: quasi sicuramente se si tratta delle celebrazioni della Settimana Santa in una terra così devota e tradizionalista come l’Abruzzo.
Tra processioni, Vie Crucis e rappresentazioni “viventi” della Passio Christi, tra le diverse varianti di Madonne che corrono o addirittura “volano”, siamo andati alla ricerca dei riti più suggestivi e particolari della Settimana Santa in Abruzzo.
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La reliquia
Si parte da Vasto (PE) dove è venerata la reliquia della Sacra Spina: si tratterebbe di una delle spine, lunga pochi pollici, della corona posta sul capo di Gesù Cristo, donata da Papa Pio IV al Marchese Francesco Ferrante D’Avalos, signore del Vasto, in qualità di delegato del Re di Napoli Filippo II al Concilio Ecumenico Tridentino (1545-1563). Da tradizione, ogni anno nell’intervallo tra l’Ora Sesta e la Nona del Venerdì Santo, la Sacra Spina presenta alla punta una efflorescenza, come una specie di lanuggine bianca, che mette in evidenza qualche macchiolina di sangue ed un capello. Da questo evento che dura qualche ora, si trae auspicio per il futuro, circa il raccolto e l’andamento dell’anno.
Oltre mille anni di storia
Radici storiche caratterizzano invece la processione del Venerdì Santo – o del Cristo morto – di Chieti, ottima candidata per il titolo de “la più antica d’Italia“. La sua origine risalirebbe infatti all’842 d.C., anno in cui si concluse ufficialmente la ricostruzione della prima cattedrale, distrutta nell’801 dal Re Pipino. Nel XVI secolo nacque l’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti che ancora oggi cura l’allestimento del rito, in cui i simboli della Passione e le statue sono seguiti dal coro per tenori primi, tenori secondi e bassi – composto da oltre 160 elementi – che intona il Miserere composto nel XVI secolo da Saverio Selecchy (Chieti,1708-1788), maestro di cappella della cattedrale. Finestre e balconi lasciano brillare lumi, quasi a vegliare la statua portata a spalla dai confratelli del Monte dei Morti vestiti di rosso con cappucci e corone di spine.
A proposito di cappucci, veniamo dunque a due eventi simili e in qualche modo contrastanti, sicuramente tra i più suggestivi della Settimana Santa abruzzese: le processioni degli Incappucciati.
Corde e cappucci
La più antica versione sembra essere quella di Lanciano (CH), che dal XVI secolo si ripete ogni Giovedì Santo. Per i cristiani è l’Ultima Cena, la sera del tradimento. Un corteo parte dalla chiesa per attraversare il centro storico: in file parallele sfilano i Confratelli di San Filippo Neri, vestiti con lunghe tonache e cappucci neri e medaglioni col simbolo della confraternita (un teschio nero tra due ossa incrociate). Con il volto coperto e recanti i simboli del Tradimento di Cristo – come i denari di Giuda e il Gallo – vivono un atto di penitenza. Scalzo e incappucciato, il “Cireneo” cammina al centro del corteo portando sulle spalle la pesante Croce del Calvario. Nessuno, tranne il Priore della Confraternita che annualmente effettua la scelta, conosce l’identità dell’uomo.
Molto particolari anche le composizioni tradizionali per i sepolcri realizzate con i germogli dei semi di grano, di lenticchie o altri cereali, fatti nascere immersi in una ciotola nel cotone umido e coltivati al buio, in modo da ottenere dei colori quasi irreali, bianco o verde acqua.
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Ugualmente solenne ma (non ce ne vogliano i Lancianesi) meno inquietante la versione di Scanno (Aq) dove la processione degli Incappucciati è organizzata al mattino dalla Confraternita della Madonna delle Grazie. I confratelli, con la faccia coperta da un cappuccio bianco, proseguono a coppie e a passi lenti, con un sottofondo musicale di canti molto tristi come “Il cristiano a pie della Croce”, per accentuare l’atmosfera di lutto per la morte di Cristo.
Una variante particolare è quella di San Valentino in Abruzzo Citeriore (PE), con il corteo dei tre caciarotti (in dialetto, spauracchio), penitenti scalzi e incappucciati, che portano la croce sulle spalle, legati da una pesante fune alla vita e al collo.
Il Buongiorno
Nel pomeriggio di Pasqua a Pianella avviene “Lu Bbuongiorne“: un evento folkloristico che prevede la sfilata del corteo storico composto da personaggi che, tra storia e leggenda, si sono succeduti nel corso dei secoli nella città vestina. La rappresentazione si conclude con la “Predeche de S. Zelvestre”, caratterizzata da versi salaci e pungenti dalla forte carica dissacrante rivolti in particolare al ‘potere’, a cittadini ed a personalità private e pubbliche che si sono prestati maggiormente al pettegolezzo durante l’anno. Un attore, raffigurante San Silvestro Papa (protettore di Pianella), fa la sua predica affacciandosi da un piccolo balcone posto sopra “L’Arco di Fuori Porta”, intonando una sorta di satira originale su vizi e virtù del popolo pianellese, esibendosi anche in lazzi stile Commedia dell’arte.
Riti e scaramanzie
Tra le tradizioni popolari ormai entrate a far parte del repertorio ricordiamo il “Passare l’acqua“: il lunedì ed il martedì dopo Pasqua bisognava varcare fisicamente dei rigagnoli o fiumicelli, mentre chi abitava sulla costa si accontentava di immergersi fino ai polpacci in riva del mare. Sembra che le origini di questa usanza vadano ricercate nell’emulazione dell’attraversamento del Mar Rosso da parte degli Ebrei per sfuggire agli Egiziani, da intendersi come una purificazione, come “attraversamento per rigenerarsi”. Un gesto ricollegato ad antiche culture, non solo alle religioni monoteiste, che si riallacciavano ad antichi culti stagionali legati al ciclo agricolo.
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Un’altra tradizione richiedeva di appendere ad una canna una “Pupattola” (una bambola) con la conocchia – una rocca da utilizzare in coppia con il fuso per la filatura delle fibre tessili – sotto il braccio ed il fuso in mano. Nell’ampia gonna della bambola veniva nascosta una patata (o un arancia) in cui venivano conficcate 7 penne di gallina. La “pupattola” vestita a lutto, simboleggiava la vedova di Carnevale e quindi la Quaresima. Le penne venivano strappate una ogni sabato, ogni settimana precedente la Pasqua. Nella credenza popolare ogni penna indica un uovo (fatto dalla gallina dalla quale si traggono le penne) da cui spuntano tante tradizioni, fino a giungere all’Uovo Pasquale. Strappata l’ultima penna, che era bianca, il Sabato Santo si bruciava il fantoccio tra la generale allegria, per significare anche che la “penitenza” era terminata. Molto spesso se la “pupattola” era magra, veniva sostituita da una grossa e rubiconda, vestita di bianco e decorata con uova colorate.
Il folklore abruzzese pullula di credenze con reminiscenze superstiziose circa la Settimana Santa. Qualche esempio: non possono nascere pulcini se si mettono alla cova le uova nei giorni in cui le campane sono legate; i bimbi che devono imparare a camminare muoveranno speditamente i primi passi al primo rintocco di campane. O ancora, mentre si recitano gli uffici nella Passio Christi, alla fine del “Miserere” si usa fare le “battiture” con tocchi di mazza sul pavimento e suono di “raganelle“, fino a raggiungere uno strepitio assordante. Tradizione vuole che un tale frastuono possa ricordare il terremoto che percosse la terra nell’attimo in cui Gesù Cristo spirava sulla croce.
(Fonte foto: Arciconfraternita Morte e Orazione – Lanciano)