Concorso Fotografico “Un luogo per ZeroBook 2022” – I vincitori
“Intrattenimenti da sanatorio” di Isabella Gavazzi (Morbegno, Sondrio) è la foto prima classificata della quarta edizione del concorso fotografico “Un luogo per ZeroBook 2022”. L’annuncio arriva dalla giuria tecnica che a gennaio aveva proclamato i 5 finalisti.
“Come nelle precedenti edizioni – si legge nella nota di presentazione – anche quest’anno i concorrenti giunti alla fase finale hanno saputo raccogliere il nostro suggerimento proponendoci le immagini riguardanti luoghi e storie dimenticate, delle quali il nostro Paese rappresenta un triste primato del quale non è certo un particolare di cui vantarsi”.
Davvero avvincenti le storie tratte dal passato che hanno dato un tocco di recupero della memoria storica, arricchendo il nostro bagaglio di conoscenze e quello dei nostri lettori. Un confronto dovuto con le più nascoste testimonianze che in ogni città, provincia o qualsiasi angolo inimmaginabile continua a porci di fronte, nell’umile tentativo di comprendere il presente attraverso il ricordo di luoghi, persone e vicende che hanno tracciato il percorso che oggi, non sempre con il dovuto rispetto, stiamo percorrendo.
Qui di seguito la classifica finale delle 5 foto finaliste, in ordine dal 5° al 1° posto:
5° posto: “Dieta lavica” di Enrico Sciuto (Catania)
La foto ritrae uno dei locali turistici presenti sull’Etna a Piano Provenzana, completamente sommerso e distrutto dall’eruzione del 26/27 ottobre 2002. Questo fenomeno della natura, con lo scatenarsi della forza distruttiva del vulcano che gli esperti chiamarono “eruzione perfetta”, cancellò completamente l’intera stazione turistica di Piano Provenzana.
4° posto: Non assegnato
3° posto ex-aequo: “Casino Vecchio” di Matteo Clemente (Teramo)
Il Casino Vecchio del Belvedere, sorto lungo le falde occidentali del Monte San Leucio, può essere considerato il primo nucleo del quartiere borbonico della Vaccheria. Questo, frazione del Comune di Caserta, da cui dista circa 4 km, si imposta sulle preesistenze di un insediamento romano e deve il suo nome alla funzione ad esso assegnata dal Re Ferdinando IV di Napoli, il quale, a partire dal 1773, proprio nei pressi del “casino di caccia” diede vita ad un allevamento di bovini portati in Campania dalla Sardegna e, di conseguenza, gettò le basi di quella che sarà poi l’area produttiva della vicina San Leucio. Qui, infatti, fu costruito il primo stabilimento manifatturiero e l’economia prettamente agricola di questi luoghi iniziò ad acquistare uno stampo più marcatamente industriale.
Il Casino Vecchio fu, per qualche tempo, la dimora prediletta del Re Ferdinando, ma nel 1778 il principe erede al trono Carlo Tito, dopo aver contratto il vaiolo, muore proprio all’interno di questo edificio. Da questo momento in poi il Casino fu abbandonato dalla famiglia reale che lo sostituì con il Casino del Belvedere di San Leucio, già di proprietà dei principi Acquaviva.
La dimora reale divenne abitazione dei guardiacaccia e subì, quindi, alcuni piccoli rimaneggiamenti interni, ma l’impostazione planimetrica generale e gli apparati decorativi, se si escludono le lacune dovute al degrado, sono gli stessi del XVIII secolo.
3° posto ex-equo: “Vita rurale” di Pasquale Antonio Maiorino (Brugherio, Monza Brianza)
Località Chiaretto di Teramo. Dagli anni ’20, il casale è stato abitato da due fratelli con le loro famiglie, il primo con 5 figli (2 femmine e 3 maschi) e l’altro con 6 figli (5 maschi e 1 femmina). Il casale è stato abitato fino a metà degli anni Cinquanta, quando la maggioranza dei figli emigrarono in Venezuela e un unico in Canada dove è rimasto fino alla sua morte. Dopo un po’ di anni gli altri dopo ritornati in Italia al nord, Lecco e Monza, dove hanno vissuto fino alla morte. Solo uno di loro è tornato a Chiaretto di Teramo, abitando vicino al casale tutta la vita. Il casale, oggi, risulta abbandonato anche per i costi eccessivi di recupero.
2° posto: “Anime dimenticate” di Marco Monari (Bologna)
L’Ospedale Psichiatrico di Pesaro – ex manicomio provinciale San Benedetto di Pesaro – è un edificio di proprietà dell’Amministrazione Comunale Pesarese. Costruito nel 1829, si trova nel centro storico della città in Corso XI Settembre. Si tratta di un ospedale dismesso a metà degli anni ‘70 a seguito della legge Basaglia, e a tutt’oggi è in stato di degrado e abbandono (foto Anime dimenticate). Come ogni edificio adibito a quello scopo, è stato a lungo un luogo di sofferenza e di ingiustizia sia per i pazienti affetti da reali malattie mentali sia per coloro che ne venivano rinchiusi per tutt’altri motivi. Significativa delle atrocità commesse è la foto intitolata Una porta per l’inferno, in cui si evidenzia una porticina dissimulata nella parete esterna. La sua funzione era quella di aprirsi all’improvviso e permettere al personale del manicomio di trascinarne all’interno la persona accompagnatavi a forza. Di cui, da quel momento, si perdevano le tracce. Come nota di interesse, tra i suoi direttori – nel periodo da marzo a novembre 1872 – figura Cesare Lombroso, che fondò un giornale (Diario del San Benedetto in Pesaro) redatto e stampato dai pazienti che vi scrivevano le loro toccanti considerazioni. Nel corso della seconda guerra mondiale la struttura fu adibita a ospedale psichiatrico – come si evince dalla foto Il terrore non ha fine – dalle truppe di occupazione tedesche mentre, successivamente, fu ospedale per la cura dei feriti dalle truppe alleate. In questo caso ripristinare il valore architettonico all’edificio significherebbe anche e soprattutto ridare voce alle tante persone che vi sono state rinchiuse, restituendo loro la dignità umana che gli fu sottratta.
1° posto: “Intrattenimenti da sanatorio” di Isabella Gavazzi (Morbegno, Sondrio)
Incastonati nelle Alpi Retiche valtellinesi, nella provincia di Sondrio, gli ex-sanatori di Prasomaso, nel comune di Tresivio, rappresentano un interessante esempio di architettura di inizio Novecento finiti per essere abbandonati nel corso degli anni. La struttura principale, il sanatorio popolare Umberto I, venne edificato tra il 1905 e 1910 da parte dell’Opera Pia Sanatori Popolari di Milano, su progetto degli architetti Brioschi e Giachi, con l’idea di fornire cure gratuite per tutti i malati di turbercolosi, all’epoca non curabile per via della mancanza di antibiotici e vaccini. La terapia con il maggior grado di successo era l’esposizione dei pazienti ad ambienti soleggiati e dall’aria pulita, preferibilmente al di sopra dei 1000 metri di dislivello.
Inaugurato il 29 luglio 1910, nel corso dei venti anni successivi subì interventi di ampliamento, tra cui anche un padiglione riservato ai bambini tra i quattro e sedici anni.
La sua attività vide un veloce declino negli anni Settanta, con la chiusura definitiva nel 1977, per via dei progressi della medicina che non richiedevano più lunghe degenze in un ambiente tanto specifico.
Un insieme di padiglioni che formano un villaggio in miniatura nel mezzo della montagna, tra la pineta e strade a tornanti che portano a essi. Dal cinema al biliardo, ai giardini una volta ben tenuti passando per lo stile art nouveau di inizio Novecento, i sanatori rimangono un ricordo di quello che hanno rappresentato per la popolazione e per l’intera Valtellina; un posto abbandonato a sé stesso, all’incuria e al vandalismo, destinato all’oblio e alla completa rovina”.