“Cinema d’Estate”: Casotto di Sergio Citti
Metti una calda mattinata d’agosto sul litorale romano. Tra le sabbiose dune di Ostia, tormentato dal vento che soffia e nel disperato tentativo di accendersi una sigaretta, un giovane Ninetto Davoli maneggia un ultimo fiammifero, cercando riparo in una cabina-spogliatoio sulla spiaggia (quella che a Roma prende il nome di casotto).
Una volta dentro, riesce nel suo intento e, con aria soddisfatta, si dilegua chiudendosi la porta del casotto alle spalle. La telecamera rimane all’interno, girando su sé stessa e offrendo allo spettatore una panoramica a 360 gradi, vuota e silenziosa, di quello che sarà il set dell’intero film.
È così che inizia il Casotto, film del 1977 di Sergio Citti e tratto da un racconto di Vincenzo Cerami, che del film è anche sceneggiatore. L’idea della pellicola viene in mente al regista quasi per caso. Citti si trova sul divano di casa sua e s’imbatte in Una domenica di agosto, film di Luciano Emmer del 1950, in cui una folla variegata e di diversa estrazione sociale, si reca ad Ostia per trascorrere una giornata al mare.
L’idea del regista, però, pur traendone spunto, si discosta da quella di Emmer, partendo dal casotto per raccontare le storie dei protagonisti che si avvicendano al suo interno. La trama è piuttosto semplice. Il film è una commedia balneare, dai tratti grotteschi e a volte feroci, dove i protagonisti vivono la loro giornata di vacanza, ciascuno a modo proprio ed alternandosi sul piano della storia, quasi fosse un film a episodi.
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Ecco, quindi, che troviamo una squadra di pallavolo femminile guidata da un severissimo allenatore; un solitario e taciturno reverendo inglese; due giovani e squattrinati benzinai che cercano di quagliare con una coppia di ragazze appena conosciute; due militari fissati col bodybuilding; due donne che cercano in tutti i modi di circuire un assicuratore timorato di Dio, solo per poter mettere le mani sul premio assicurativo; i nonni di una ragazza incinta, che cercano di appiopparla all’ingenuo cugino di lei solo per riparare al “fattaccio” e una coppia che tenta di consumare clandestinamente.
Seppur di semplice apparenza, Casotto è un vero e proprio cult del cinema italiano. Un film corale che trova proprio nella sua stravagante coralità un grandissimo allato. Da Gigi Proietti a Franco Citti, a Paolo Stoppa, Michele Placido, Mariangela Melato e Ugo Tognazzi, fino a Carlo Croccolo e una giovanissima Jodie Foster, reduce dal successo di Taxi Driver del 1976, eccezionalmente doppiata in romanesco da Emanuela Rossi.
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Sul film aleggia prepotentemente l’influenza di Pasolini, maestro di Sergio Citti e scomparso due anni prima dell’uscita dell’opera. I due avevano già collaborato, tra gli altri, in Accattone e Mamma Roma. Casotto è uno spaccato sociale di quegli anni. Un film che, dietro a storie di vita talvolta miserabili e apparentemente semplici, scava nel profondo dell’animo umano, toccando temi come l’avidità, il sesso e l’inganno, accompagnandoli con l’ironia della commedia italiana.
All’epoca snobbato e denigrato dalla critica, Casotto è oggi autentico film di culto. Grottesco ma senza fronzoli, il film è girato (eccezion fatta per l’avventura onirica di Gigi Proietti con Catherine Deneuve) totalmente in studio. Il casotto diventa il palco su cui gli attori si esibiscono, come fosse la scena di uno spettacolo teatrale. C’è il mare, l’estate e la canicola, pur vivendo la storia tra quattro pareti di legno. C’è l’ironia, la furberia e quell’essere “sgamato” tutto romano che si mescolano alla fame, alla malinconia e alla semplicità.
Perfetta fotografia di un’Italia che ci strappa una risata amara, spingendo lo spettatore che quel periodo l’ha vissuto, ad immedesimarsi, talvolta, nei personaggi. “Oggi nun se magna” dicono le due ragazze abbordate dal duo Proietti-Citti quando si rendono conto di essere incappate in due “senza ‘na lira“. Il film si chiude sotto l’acquazzone finale che costringe alla fuga i protagonisti, immortalati tutti insieme per la prima ed unica volta nel film, dalle foto ricordo scattate da Ninetto Davoli. Proprio lui che il film, l’aveva aperto.
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