Censura e cultura, due mondi incompatibili
La bocca dello stolto è il suo castigo. Non la censura.
Censura dal latino censura, nome della magistratura istituita nel 443 a.C. al fine di tenere regolari censimenti della popolazione, per registrare i cittadini e i loro beni.
In seguito, nell’antica Roma i censori divennero quei magistrati incaricati di vigilare sulla condotta morale dei cittadini, oggi indica il controllo morale o ideologico su determinate opere, azioni, pensieri.
I primi esempi di censura nella storia
Possiamo ricordare il conservatore Marco Porcio Catone, famoso ai più come colui che pronunciò la famosa frase “Carthago delenda est” al termine di un discorso in Senato, ma che ottenne l’appellativo di “censore” per il ruolo che ricoprì per 4 anni con moralismo austero e una fervida lotta contro l’ellenismo che, a suo dire, avrebbe corrotto il mos maiorum.
Già 4 secoli prima di Catone però possiamo rintracciare un primo caso di censura. Quello del re del regno di Giuda, Ioachim, che mutilò la Bibbia strappando le parole del profeta Geremia che lo indicava come un vaso vecchio e frantumato che non avrebbe avuto eredi sul trono.
Di eventi e personaggi inerenti alla censura verso la cultura (lasciamo ora da parte la censura sui social o TV) la storia ne è colma, in particolare nell’ambito del potere spirituale. I due concili di Nicea, rispettivamente nel 325 e nel 787, redassero una lista di libri e autori sottoposti a censura. I libri di Ario, Pietro Abelardo, Arnaldo da Brescia e Francesco Stabili furono banditi e alcuni finirono addirittura al rogo.
L’indice dei libri proibiti nel ‘700
Ma fu il XVI il secolo per eccellenza nella censura dei libri. Il secolo dell’Index Librorum Prohibitorum, l’indice dei libri proibiti, emanato nel 1559 da papa Paolo IV per cui “nessuno osi ancora scrivere, pubblicare, stampare o far stampare, vendere, comprare, dare in prestito, in dono o con qualsiasi altro pretesto, ricevere, tenere con sé, conservare o far conservare qualsiasi dei libri scritti e elencati in questo Indice del Sant’Uffizio”.
La lista che veniva aggiornata periodicamente conteneva testi come il “De monarchia” di Dante, il “Decameron” di Boccaccio, le opere di Diderot, Kant, Voltaire, Montesquieu, Victor Hugo.
Un effetto di tale provvedimento fu l’auto censura che alcuni autori imposero a loro stessi.
Un esempio, non sempre conosciuto, riguarda il poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli, autore di oltre 2000 sonetti, che nell’800 per non cadere nella censura pensò di non pubblicare mai i suoi versi, testimoni di importanza incommensurabile per l’attestazione del romanesco. Fortunatamente decise di affidarli ad un suo amico, che insieme al figlio li pubblicarono dopo la sua morte.
La lista delle opere, degli scrittori, dei pensatori, dei filosofi sottoposti a censura sarebbe ancora molto lunga se andassimo a scavare nei secoli più o meno lontani. Giordano Bruno, la cui statua domina Piazza Campo de’ Fiori a Roma, è sicuramente uno dei principali personaggi storici le cui idee, che mai rinnegò gli costarono il rogo proprio nella piazza dove oggi è raffigurato.
Grease e l’Odissea: due casi di inquisizione post litteram
Ma da un pò di tempo sembra di vivere un’inquisizione di ritorno. Praticamente post litteram. Assistiamo a riletture di opere scritte secoli fa, a condanne verso film e cartoni animati che qualche decennio fa hanno fatto la storia ed il pieno in termini di accoglienza da parte di critica e pubblico. Una revisione politically correct che il più delle volte sembra una mero isterismo.
In ordine cronologico gli ultimi che rischiano di cadere sotto i colpi della mannaia censoria abbiamo “Grease” per quanto riguarda il cinema, e nientepopodimeno che Omero e la sua “Odissea”.
Al musical con protagonista John Travolta viene mossa l’accusa di essere sessista, misogino, omofobo e razzista. La punta più alta della critica, sbirciando su Twitter, è nei confronti della canzone “Summer night” rea di incitare allo stupro. Sebbene tali atteggiamenti siano da condannare, il film cult degli anni ‘60 tutto sembra tranne che un inno a ciò.
Ma l’esegesi moderna di opere del passato non ha ancora toccato l’apice.Chiunque abbia seguito almeno cinque o sei lezioni tra liceo e/o università si sarà imbattuto in Omero e nell’opera narrante il viaggio di Ulisse verso la sua Itaca, dalla sua amata Penelope.I temi più ricorrenti sono sicuramente il viaggio eroico, avventuriero, la guerra, l’astuzia, la curiosità.
#disrupttext: le motivazioni della cancel culture
Eppure secondo Heather Levine, insegnante della Lawrence High School di Lawrence nel Massachusetts, Omero è il capostipite della “mascolinità tossica”. Ma è anche razzista, poiché descrive i suoi eroi come uomini dalla pelle bianca e dai biondi capelli. La docente si è dichiarata “molto orgogliosa di dire che quest’anno abbiamo rimosso l’Odissea dal curriculum”.
Nel calderone della censura vengono inseriti anche autori come Mark Twain e il suo “Huckleberry Finn” e Nathaniel Hawthorne con “La lettera scarlatta” che l’insegnante Evin Shinn di Seattle “preferirebbe morire” piuttosto che insegnarli.
Omero, dunque. Davvero? Quello scrittore che si dice fosse cieco e che forse non è mai esistito. Omero che narra di Polifemo, uno dei personaggi più negativi ma non per la sua origine, per il suo appartenere al popolo dei Ciclopi. Non c’è nulla di razzista. Ma semplicemente è colui che si macchia di uno dei più grandi disonori per la cultura greca: non rispetta l’ospite.
L’ospitalità che riecheggia sempre nei classici latini e greci.
Censura americana vs classici latini: una storia già vista
A proposito di classici latini, gli Stati Uniti già nel 2015 si resero protagonisti di una censura che definirla strana è un eufemismo. Gli studenti della Columbia University chiesero di cancellare dal corso Great Books (studio delle grandi opere letterarie da Omero ad oggi) le “Metamorfosi” di Ovidio. Le fragili menti degli studenti di una delle migliori università americane si lamentarono delle conseguenze traumatiche che potrebbero conseguire dalla lettura dei passi sulla violenza sessuale ai danni di Proserpina e Dafne.
Bisogna sottolineare come ai professori universitari statunitensi è chiesto di indicare quali materiali del proprio corso possano scatenare dei “triggers” nei loro studenti. I triggers sono delle cause scatenanti di reazioni per chi in precedenza ha subito traumi derivanti da esperienze violente. Perciò i giovani studenti americani avevano paura che episodi riguardanti Proserpina e Dafne avrebbero potuto scatenare dei triggers in studenti di colore e per quelli di bassa estrazione sociale.
Peccato che nei 15 libri di Ovidio sono ripresi oltre 200 miti greci. Dall’origine del mondo con il mito di Chaos fino alla morte di Gaio Giulio Cesare. Il tema dello stupro è certamente presente, ma non vi si può ridurre un’opera di questo calibro. Evidentemente non si è colta la carica letteraria ovidiana.
Ovidio che racconta la bellezza di Dafne e la sua fuga che la rende ancor più bella è qualcosa che da oltre 2000 attraversa le pagine della storia.
Ma se il gioco è censurare qualsiasi opera o idea, seppur antica, che riletta in chiave moderna potrebbe richiamare temi oggi dibattuti, bisognerebbe cancellare opere come quella del Bernini, il cui marmo scolpito racconta la bellezza di Dafne nel momento in cui venne raggiunta da Apollo.
Ma anche i testi di Ippocrate e Aristotele i quali, rispettivamente in “Arie acque e luoghi” e “Politica”, sottolineavano le differenze tre elleni e i barbari asiatici esaltando le caratteristiche dei proto-europei.Così come dovremmo cancellare Nietzsche che in “Al di là del bene e del male” scrisse che “paragonati nel complesso uomo e donna, possiamo dire: la donna non avrebbe il genio dell’ornamento se non avesse l’istinto del suo ruolo secondario”.
Eresie per il pensiero unico moderno.
Il fuoco della censura contro il bello della cultura
Ma a questo punto sembra di vivere nel mondo di “Fahrenheit 451” in cui Ray Bradbury racconta di un mondo dove esiste il “reato di lettura”, in cui i bravi cittadini dovevano informarsi solo attraverso la televisione gestita ovviamente dal governo. Un mondo in cui i pompieri erano invece gli addetti a bruciare quei libri non il linea.
“Era una gioia appiccare il fuoco.Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse.[…] mentre i libri, sbatacchiando le ali di piccione, morivano sulla veranda e nel giardinetto della casa, salivano in vortici sfavillanti e svolazzavano via portati da un vento fatto nero dall’incendio”. Cosi Montag descrive lo scenario in cui vive. Una scena macabra. A cui oggi figurativamente assistiamo.
Quello di oggi sembra un mondo dove non esisterebbero “Una poltrona per due”, “Vacanze di Natale 83”, “Selvaggi”, tanto per citare film con battute e personaggi politicamente scorrette apprezzati a più riprese per la loro leggerezza e perché scevri da qualsiasi intento discriminatorio.
La cultura, l’arte, la cinematografia, la circolazione di idee e pensieri deve essere favorita. Soprattutto se da secoli ha successo. Se viene tramandata e mai presa come spunto per discriminazioni o violenze.
Come già detto la bocca dello stolto è il suo castigo. Quindi se per caso dovesse venire il turno di altre opere pietre miliari della cultura, se l’Eneide, la Divina Commedia o la Democrazia in America di Tocqueville (tanto per citare opere diverse, di epoche diverse, di temi diversi) dovessero ispirare qualche moderno inquisitore, costui pensi molto prima di parlare e urlare alla censura.
Perché è anche il successo di un’opera a dargli il ruolo che merita nella storia. Se dovesse veicolare idee non più gradite non avrà più successo. Il castigo gli verrà dato dal disprezzo presso il pubblico. Non dalla censura.
Ma vedendo il successo avuto nei secoli da tante opere criticate, quali l’Odissea e le Metamorfosi, gli stolti che riceveranno il castigo, ossia l’oblio, saranno questi odierni cacciatori di streghe. Non gli autori di opere immortali.