Cenerentola, esegesi di una rivisitazione inclusiva
Cenerentola, la fiaba di Charles Perrault che nel 1950 divenne il 12° classico Disney, è sulla bocca di tutti. Colpita anche lei dal politically correct. Dal bisogno ossessivo di inclusività.
La Fata Smemorina, che tutti ricordiamo come un’adorabile vecchietta caucasica, nell’ultimo live action Cinderella prodotto dalla Sony sarà interpretata da Billy Porter. L’attore afroamericano è stato il primo omosessuale dichiarato a vincere un Emmy per la sua interpetazione di Pray Tell nella serie statunitense Pose.
Le prime immagini inedite del personaggio Fab G. sono state pubblicate da “Entertainment Weekly”. Billy Porter indossa un estroso vestito arancione, con paillettes, dando vita ad un personaggio che abbandona totalmente la distinzione tra maschile e femminile, verso quella che viene definita “fluidità di genere”.
Le parole dell’attore, protagonista di questa rivisitazione della fiaba di Cenerentola in salsa “blackwashing”,sono state critiche verso un parte del pubblico, a suo dire non pronto ad accettare questo restyling.“I bambini sono pronti. Sono gli adulti che hanno bisogno di tempo”.
Questa ossessione per l’inclusione, della sostituzione di un personaggio di fantasia rappresentato con pelle “bianca” (e anche su questo termine potrebbe scattare una discussione infinita) con uno dalla pelle “nera” (per utilizzare una parola politicamente corretta poiché la Crusca ammette che “negro” “era certamente quello più storicamente attestato, più semanticamente pregnante” in quanto etimologicamente deriva dal latino nigrum), rischia però di ridicolizzare le battaglie sui diritti civili e uguaglianza. Idem per quanto riguarda il voler dare una sessualità marcata a figure per le quali non se ne sente il bisogno per lo svolgimento della storia.
LA DISCRIMINAZIONE É COLPA DEI CARTONI COME CENERENTOLA?
Il bisogno di un repulisti, in nome di una presunta politica totalizzante da parte dei “bianchi” anche nei cartoni animati, è sicuramente meno sensato se paragonato al mondo del lavoro. Quanti sono i bambini che, vedendo il principe azzurro bianco, biondo e con gli occhi celesti (ma anche moro con gli occhi neri in Biancaneve), sono cresciuti con il mito del Ku Klux Klan?
Anzi, se proprio la si vuole dire tutta, sono proprio i modelli gangster dei ghetti di New York e Detroit a creare falsi miti. Tutto creato dalle case di produzione che spingono verso uno stile tipico dei quartieri a maggioranza nera, dove avere la pistola sotto le larghe felpe ti rende più fico.
Ma non per questo nessuno con un minimo di sale in zucca osa dire (e ci mancherebbe il contrario) che allora va abolito il Rap americano. Ognuno, come diceva Sallustio, è artefice del proprio destino. Ma anche figlio della propria sconfitta. Al di là del colore della sua pelle.
E l’inclusività, l’abbattimento di alcuni dogmi e pregiudizi deve partire dal basso. Dalla cultura non imposta. Non dall’alto, con indottrinamenti, rivisitazione di film e cartoni animati. Perché è ridicolo pensare che i corvi di Dumbo fossero razzisti. Tra l’altro, considerando che si parla di film dedicati ad un pubblico giovane, l’imposizione di alcuni modelli potrebbe sortire l’effetto contrario. Quante volte un bambino obbligato a mangiare un minestrone di verdure elabora un rifiuto verso quel pasto? Molte più volte di quanto la fatina bianca di Cenerentola possa indurre al razzismo e alla xenofobia.