Carmelo Demaio: “La danza è una forma d’arte trascurata”
Prosegue il viaggio di The Walk of Fame alla scoperta degli artisti emergenti italiani attualmente più rilevanti. Stavolta ci siamo addentrati nel mondo della danza incontrando Carmelo Demaio.
Ballerino di 23 anni, romano d’adozione ma originario di Bagnara Calabra. Proprio qui inizia a studiare danza con il Maestro A. Gatto per poi entrare a far parte del Teatro Golden di Roma.
Quando eri bambino, che cosa rispondevi a chi ti chiedeva: “Cosa farai da grande?”
Ho sempre risposto che da grande volevo realizzare il mio più grande sogno ovvero fare il ballerino.
A che età hai iniziato a ballare?
Ero piccolo, avevo 6 anni. Ho iniziato un po’ per gioco con dei miei cugini coetanei che hanno lasciato poco dopo ed io invece ho continuato. Quando i miei genitori hanno capito che amavo ballare mi iscrissero nella scuola migliore del mio territorio ovvero la scuola di danza Sintesi di Bagnara Calabra del M. Armando Gatto dove ho continuato a studiare fino al mio trasferimento a Roma avvenuto grazie ad una borsa di studio concessami dal M. Giovanni Rosaci che mi ha permesso di studiare nel Corso Professionale di Alta Formazione per Danzatori al Teatro Golden di Roma.
Hai dovuto rinunciare o stai ancora rinunciando a qualcosa per raggiungere il tuo sogno?
Per raggiungere il mio sogno ho dovuto e devo tutt’ora rinunciare a diverse cose come vivere vicino alla mia famiglia e alle persone a cui voglio bene che vivono in Calabria.
Da sempre la danza esprime le emozioni più intime e più forti, e in quest’anno così anomalo abbiamo conosciuto sensazioni che forse prima erano solamente una “teoria”; com’è stato trovarsi a “mettere in scena” queste emozioni così particolari? E soprattutto, qual è stato il processo che ti ha permesso di lavorare su queste emozioni e sulla tecnica nonostante la chiusura di palestre, studi di danza, e palcoscenici?
È un periodo molto difficile per chi come me ha la necessità di allenarsi quotidianamente. Ciò è stato molto frustrante ma con un po’ di inventiva e voglia mi sono adeguato e ho continuato ad allenarmi a casa. Di sicuro non è il massimo ma ho cercato comunque restare attivo in previsione di tempi migliori. Nonostante lo sconforto e lo smarrimento dovuti al primo periodo di lockdown, sono molto fiducioso sul fatto che presto si potrà nuovamente tornare in scena e in sala di danza con molto più entusiasmo e voglia di fare.
Pensi che la danza possa avere in qualche modo un ruolo nella ripresa di tutti noi da questo periodo fatto di restrizioni e cambiamenti?
La danza è arte e, tra le tante caratterizzata da un dinamismo che in questo periodo è per ovvie ragioni contrastato e limitato. Dunque ben venga ogni fonte d’ispirazione e di ogni possibile emozione.
La danza è un settore che interessa moltissime persone ma di cui si parla sempre poco o con superficialità; quali consigli ti senti di dare a coloro che decidono di intraprendere questa carriera in periodi di crisi come questo?
Troppo spesso la danza è una forma d’arte sottovaluta da chi non la conosce, anche dal punto di vista professionale. A tutti coloro che vogliono intraprendere questo percorso consiglio di non mollare mai, di avere forza e soprattutto pazienza.
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Credi che l’Italia si trovi ancora in una posizione discutibile rispetto al mondo della danza, che debba fare passi avanti nel riconoscimento di questo settore?
Credo che negli ultimi anni la situazione sulla cultura della danza sia migliorata in Italia. All’estero sicuramente è molto più sentita come forma d’arte, ma mi auguro che col tempo possa essere valorizzata anche dalle autorità competenti del nostro Paese.
Quali immagini pensi possano essere il futuro della danza? Verrà stravolta dall’inevitabile ascesa dello smart working (es. lezioni e spettacoli online) oppure riuscirà pian piano a riconquistare quella sfera prettamente fisica che la caratterizza?
La danza è l’arte del movimento, dell’emozione espressa in quel singolo istante in cui un danzatore è sul palcoscenico. Penso e spero vivamente che essa riacquisti quella sfera prettamente fisica e diretta che la caratterizza. Non penso però che lo smart working, che in questo momento sta aiutando tutti noi a continuare a danzare potrà mai sostituire una lezione o uno spettacolo dal vivo.
Il sogno più grande?
Spero un giorno di ballare in teatri importanti e riuscire ad avere un centro di danza tutto mio.
Intervista a cura di Marina Colaiuda
Foto di Laura Aurizzi