Giosue Carducci, il “poeta nazionale”
Giosue Carducci, il “poeta nazionale”, nacque a Pietrasanta, in provincia di Lucca, il 27 luglio del 1835. Figlio di un poeta dilettante e carbonaro, già in tenera età visse il trasferimento della famiglia dalla Versilia alla Maremma, luoghi complementari e ugualmente implicati nello sviluppo della precoce fantasia poetica carducciana. Una fantasia nutrita dei miti legati alla Natura e delle immagini care della costa toscana.
Ribelle, selvatico, amante della natura tanto da possedere una civetta, un falco e un lupo in casa.
Le prime letture
Trasferitosi a Firenze, nel 1849 fu ammesso nel collegio degli Scolopi, quell’ordine religioso che già dal ‘600 gestiva l’istruzione elementare per ordine dello Stato Pontificio. Matura però un oltranzismo classicista e anticattolico che anni dopo gli costò la cattedra al ginnasio di San Miniato.
Grazie al padre si avvicinò a testi come “Storia Romana” di Rollin e “Storia della Rivoluzione Francese” di Thiers che formarono il suo pensiero classico-romantico e rivoluzionario. Lesse autori con Proudhon, che gli aprì gli occhi sulla realtà della Chiesa traditrice del mandato divino. Un vero colpo al cuore per i sostenitori antirisorgimentali e fautori del Papa Re.
Dopo la lettura del filosofo francese, compose l’inno “A Satana” in cui fa un’apologia di “tutto ciò che di nobile e bello e grande hanno scomunicato gli asceti e i preti”. Il Demonio veniva celebrato da Carducci come una vera e propria musa ispiratrice dei poeti, ma che agiva anche nell’ebbrezza del vino che rallegrava i convivi e nell’amore per le donne.
Amante della patria, della rettitudine morale tipica di Parini, delle poesie di Foscolo da cui alimentò il fuoco dell’avversione per i regnanti stranieri. Dai due mostri sacri della poesia italiana recuperò l’amore per i classici e per l’etica arrivando a formulare una sua visione della religione esponendola nel sonetto “Il dubbio” in cui manifestò il suo essere religioso ma anticlericale. Arrivò addirittura a criticare Pio IX, immaginato sorridente durante la decapitazione dei due garibaldini Monti e Tognatti che a Roma furono gli artefici di un attentato in cui persero la vita 23 soldati francesi. Il fatto lo colpì al cuore tanto da comporre un ode in ricordo dei due attentatori.
Carducci fu amante del bello, un’innamorato dell’Italia. Fu capace di recuperare e rielaborare la prestigiosa tradizione latina e di fonderla con il culto del passato e con l’affermazione del valore atemporale della poesia.
L’impegno politico di Carducci
Di carattere schietto e contrario al doppiogiochismo, fu attratto dal tardo romanticismo di Prati e Aleardi, in quanto per lui l’Unità d’Italia andava raggiunta con forza e virilità. L’impegno in prima persona era l’unica via. Per questo si esaltò prima per la spedizione dei Mille di Garibaldi e dall’intervento dello stesso a Roma nel 1870, rimanendo deluso poi dalla prigionia dell’eroe dei due mondi e dalla morte dell’amico Cairoli.
Il suo impegno politico raggiunse l’apice nell’elezione a Senatore nel 1890 e a membro del Consiglio superiore dell’Istruzione pubblica dieci anni prima. La sua carriera fu costellata di riconoscimenti ufficiali che neanche le prese di posizione da irredentista radicale a favore di Oberdan, il patriota triestino che aveva attentato alla vita di Francesco Giuseppe imperatore d’Austria, e tanto meno il laicismo rinsaldato dall’appartenenza massonica (iniziato nella Loggia “Galvani” di Bologna negli anni in cui la Massoneria incarnò i valori del patriottismo e del Risorgimento italiano) lo sviarono dall’adesione sempre più convinta della politica governativa e da un pieno appoggio al primo ministro Crispi.
Nonostante non fu mai monarchico, tra i suoi ammiratori potè annoverare la regina Margherita di Savoia che lo volle insignire con la croce al merito di Savoia che però il Carducci rifiutò. Dopo il loro incontro il vate mise in progetto “Alla regina d’Italia” ricevendo però accuse di essersi convertito alla monarchia da parte dei repubblicani che lo avevano “eletto” loro poeta di partito. Rispedì al mittente le accuse con l’articolo del 1882 “Eterno feminino regale” in cui chiarì che l’unica costante della sua vita fu l’amore per la patria.
Fin dagli esordi l’ispirazione poetica di Carducci risulta legata a un’istanza celebrativa, alla volontà di ricordare ed esaltare i fatti, i luoghi, i personaggi della storia dell’identità nazionale. Dedicò versi al sacrificio del giovane Corazzini nella campagna per la liberazione di Roma del 1867, alla figura austera di Mazzini.
La sperimentazione metrica
Legato alla tradizione classica, in particolare al modello latino di Orazio, provò a riprodurne i ritmi delle strofe combinando più versi in uso nella tradizione italiana.
La sua sperimentazione in metrica ebbe l’apice nei cosiddetti metri barbari delle “Odi barbare”, la raccolta più celebre e significativa, anche per l’influsso sulla poesia successiva.
Nate come opera ideologicamente volta a restaurare lo spirito e il valore tramandato dai classici, per dare a Roma e a tutto il mondo civile una testimonianza di adesione alla cultura e al mondo latino, Carducci vi inserì la sua visione di un nuovo e solenne trionfo che il popolo italiano, tornato libero, avrebbe celebrato sul colle Palatino, mentre Roma, destinata a tornare Capitale, lo accoglierà in un abbraccio tra passato, presente e futuro.
Fu il cantore dell’Italia umbertina, il “poeta vate della Terza Italia”. Morì il 16 febbraio del 1907 a Bologna in seguito ad una cirrosi epatica.
Qui di seguito, per rendergli omaggio, alcuni suoi stessi versi delle “Odi barbare” sulla centralità di Roma in tutta la sua visione storico-politica del mondo:
“Te redimito di fior purpurei
april te vide su ‘l colle emergere
da ‘l solco di Romolo torva
riguardante su i selvaggi piani:
te dopo tanta forza di secoli
aprile irraggia, sublime, massima,
e il sole e l’Italia saluta
te, Flora di nostra gente, o Roma.”