Breccia di Porta Pia, Roma ritorna all’Italia
Era il 20 settembre del 1870 quando le truppe del giovane Regno d’Italia aprirono una breccia nella Porta Pia sulla via Nomentana, entrando nel cuore dello Stato Pontificio.
Il sogno di una penisola unita sotto il tricolore era ormai quasi al completo. Al puzzle mancava l’Urbe. Lo stesso Cavour sognava “che la città eterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno Italico”. Le sue parole nel 1860 divennero poi realtà, senza che lui però le vide realizzarsi. Morì infatti nel 1861.
Roma era stata da secoli centro politico e culturale del mondo. Sui suoi colli era nato l’Impero. Complice lo sfaldamento dello stesso, con la conseguente divisione dell’Italia nei successivi 1400 anni, la Chiesa si era impadronita della città fondata da Romolo con un falso storico. La famosa donazione di Costantino, che grazie all’umanista Lorenzo Valla sappiamo essere appunto un documento inventato. Il filologo dimostrò alcuni termini latini anacronistici per il regno di Costantino I. Costui, infatti, non fece nessuna concessione al papa Silvestro I. Nessun potere spirituale fu dichiarato superiore a quello imperiale. Nessun giurisdizione su Roma fu donata al soglio pontificio.
In pratica le argomentazioni della Chiesa per rivendicare il possesso dell’Urbe erano basati su falsità. E a questo il giovane Stato italiano rispose, dopo quasi dieci anni dalla proclamazione dell’unità, con un atto militare.
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Le truppe italiane, che contavano oltre 50.000 soldati, comandate da Cadorna, in poche ore aprirono la famosa Breccia di Porta Pia. La volontà di patrioti come Garibaldi, Cavour, Mazzini, Mameli fu fatta. Il motto “Roma o morte”, reso famoso dall’eroe dei due mondi, trovava compiutezza. Sebbene il dato dei morti fu irrisorio.
Roma, grazie anche alla sconfitta dei francesi a Sedan per mano dei prussiani, tornò ad unirsi al resto della penisola, avendo perso i suoi più strenui difensori in chiave anti-italiana. I vari papi, che da secoli si succedevano sul trono di Pietro, trovarono molte volte nei transalpini il mezzo per difendere i propri possedimenti e l’Urbe. Come nel caso della Repubblica Romana (1849) rovesciata grazie all’intervento del generale Oudinot chiamato proprio da papa Pio IX.
Il papa, grande oppositore della causa italiana, cercò di opporsi fino all’ultimo al ritorno di Roma al centro dell’idea italiana. Minacciò anche di scomunicare il primo italiano che avesse messo piede nella Città Eterna come invasore dopo la famosa breccia. Peccato per lui che fu un ebreo a entrare nello Stato pontificio, rendendo perciò vana la minaccia papale.
La Breccia di Porta Pia divenne per anni festa nazionale (fino ai patti lateranensi). Il “tempio della nazione”, come Mazzini definì l’Urbe in una lettera del 1867 ad Andrea Giannelli, tornò ad essere il centro d’irradiazione della cultura italica.
Infine, nel resoconto di Edmondo De Amicis, il famoso autore del libro “Cuore”, che il 20 settembre del 1870 riportò la cronaca dell’evento, si legge come l’avvenimento fu accolto anche ben volentieri da molti cittadini dell’ormai disciolto Stato Pontificio”. La presa di Roma era un qualcosa più che politico. Quasi naturale. Non certo casuale.
«La mattina dopo il 20, venendo dal Campo Vaccino sul Campidoglio, la prima cosa che vedo, in cima a una delle grandi scale che danno sulla piazza, è un gruppo di bersaglieri e di frati che se la discorrono fraternamente, seduti sugli scalini. I bersaglieri mangiavano. Due o tre frati rivolgevano tra le mani una gamella, guardandola di sopra e di sotto. Altri tenevano in mano un pane di munizione. Altri osservavano con molta curiosità i cappelli piumati appesi al muro. Ci fosse stato un fotografo! Parevano amici vecchi. A un bersagliere che scendeva domandai: – Che cosa dicono i frati? – So’ chiù etaliani de noautri – mi rispose ridendo.
La sera, per le strade, se ne videro molti. Ce n’era di tutti i colori: bianchi, neri, bigi, cacao. Alcuni erano accompagnati da soldati. La gente guardava e rideva. Era infatti una mescolanza così nuova e strana che pareva di sognare. E il modo con cui andavano assieme! Come fosse la cosa più naturale del mondo, come fossero stati insieme sempre. Discorrevano di politica.
A Monterotondo, discorrendo con un cittadino dei più noti, e in voce di liberale, gli domandammo come fosse contento del nuovo stato di cose. “Per me sono contentissimo – rispose, e lo diceva sinceramente. – Tutto va bene, non si potrebbe desiderare di meglio. – E poi a bassa voce: – Hanno rispettato le chiese, hanno lasciato stare i preti; messe, vespri, funzioni, ogni cosa come prima” ».