Ray Bradbury, il suo Fahrenheit 451 brucia ancora
Ray Bradbury, romanziere e sceneggiatore statunitense, è stato sicuramente uno dei più grandi scrittori del ‘900. Oggi, Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, non possiamo non parlare di lui e del suo Fahrenheit 451. Quel libro che inizia con una frase che ha fatto storia “Era una gioia appiccare il fuoco. Era una gioia speciale veder le cose divorate, vederle annerite, diverse.”
Montag, il protagonista del romanzo, era una sorta di pompiere che invece di spegnere incendi li appiccava. Questi incendi, però, erano accesi con qualcosa che brucia a 451 gradi fahrenheit. La carta dei libri.
“Mi permettete una domanda? Da quanto tempo lavorate agli incendi?” “Da quando avevo vent’anni, dieci anni fa.” “Non leggete mai qualcuno dei libri che bruciate?” Lui si mise a ridere: “Ma è contro la legge!” “Oh, già, certo.” “È un bel lavoro, sapete. Il lunedì bruciare i luminari della poesia, il mercoledì Melville, il venerdì Whitman, ridurli in cenere e poi bruciar la cenere. È il nostro motto ufficiale.” Continuarono a camminare e infine la ragazza domandò: “È vero che tanto tempo fa i vigili del fuoco spegnevano gli incendi invece di appiccarli?” “No, è una leggenda. Le case sono sempre state anticendio, potete prendermi in parola.”
Non serve leggere molto del libro di Bradbury per capire ambientazione e tema. Futuro distopico in cui il potere ha imposto il pensiero unico e in cui leggere e avere un’opinione diversa è reato. Non c’è un’esaltazione del fuoco. C’è un inno all’andare contro corrente. Al mettere a rischio la propria vita pure di non essere pecora nel gregge. Un plauso a chi esce dalla massa.
Nel mondo descritto da Fahrenheit 451, i libri sono sostituiti dalla televisione che crea degli spettatori passivi. Nessuno ha opinioni o pensieri originali. La messa al bando dei libri la creatività viene persa completamente. La società di Bradbury ha all’apparenza la felicità come meta più alta in un mondo dove le conoscenze e le idee personali sono veicolate dal governo.
Libri contro apatia
In un periodo di apatia generale, dove la noia la fa da padrona, dove si guarda ogni tipo di serie tv possibile immaginabile, comprare e leggere un libro sembra quasi rivoluzionario.
Andare in una vecchia libreria di libri usati appare come qualcosa da vecchi. Di obsoleto. Si perde così la bellezza dello sfogliare una pagina magari ingiallita, girata da chissà quante persone prima di noi (al massimo svuotiamoci un barattolo di amuchina dopo se proprio dobbiamo essere ipocondriaci). Un libro è un pezzo di storia.
Ma purtroppo è un’abitudine che si sta perdendo. La “fuga dal libro” è una tendenza tutt’altro che circoscritta. In Italia secondo l’Istat il 70% ragazzi tra i 14 e 19 anni legge solo un libro l’anno e i loro genitori non sono da meno. L’ultimo dato riguarda il possesso di libri: il 57% delle famiglie italiane possiede meno di 50 libri (e il 10,8% addirittura non ne possiede neppure uno, mentre il 14,5% in casa ha tutt’al più dieci libri). Soltanto il 6,5% delle famiglie italiane ha in casa più di 400 libri. Il problema non è sicuramente generazionale ma è figlio di un allontanamento dal libro, dalla lettura, che nasce in famiglia.
Sebbene la pandemia abbia influito positivamente poiché nell’annus horribilis 2020 le case editrici affermino di avere avuto un lieve aumento di richieste. Ovviamente lo stare in casa e lo spasmodico bisogno di comprare su Amazon ha fatto si che qualcuno riscoprisse questo piacere.
Nella giornata mondiale del libro non ci resta che immedesimarci in Clarisse McClellan, giovane diciassettene del libro di Bradbury, non allineata al modo di pensare imposto dal governo.
“Ho diciassette anni e sono pazza. Mio zio dice che queste due cose vanno sempre insieme. Quando qualcuno ti chiede quanti anni hai, mi ha detto, tu di’ sempre diciassette e che sei pazza”. Con la sua stessa spregiudicatezza riavviciniamoci all’arma migliore che ci è concessa. La cultura. E quale miglior modo di ampliarla se non leggendo di continuo?