Biancaneve val bene un bacio?
Porre una questione, agire una provocazione, avere un dubbio, formulare una ipotesi. Detto in una parola, ragionare può rappresentare una condotta pericolosa, nel nostro tempo?
Verrebbe da rispondere sì senza perdere troppo tempo. È il caso di Biancaneve, in queste ore sulla bocca di tutti, che riporta in prima istanza questo tema, fra gli altri.
Un altro tema riguarda l’elaborazione della complessità, l’abbandono della polarizzazione o, per capirci meglio, il tifo da stadio e il politicamente corretto.
“Biancaneve dorme e dunque il bacio non è stato consensuale”, questa la questione con cui è posta la provocazione. Il dubbio formulato da due giornaliste del “SFGate” che hanno recensito una delle giostre originali, “Snow White’s Enchanted Wish”, presentata in versione rinnovata al pubblico di un Disneyland appena riaperto dopo 400 giorni di lockdown. Alla riapertura del parco di Anaheim infatti, si è scelto di adottare come finale della corsa lo stesso epilogo del classico cartone del 1938, cioè il bacio dell’eterno amore del Principe per liberare Biancaneve dall’incantesimo. Al posto della morte della matrigna Grimilde con cui si concludeva l’itinerario nella edizione originale del 1955 della giostra.
“Non può essere un bacio di vero amore se solo una persona sa che sta succedendo”, hanno scritto le giornaliste sull’edizione digitale del “San Francisco Chronicle“, per poi incalzare: “Non siamo già tutti d’accordo che quello del consenso nei primi film della Disney è un aspetto problematico? E che insegnare ai bambini che baciare un’altra persona, se entrambe non sono d’accordo, non va bene?”.
Questo come tantissimi altri episodi simili è stato strumentalizzato da una stampa alla continua ricerca del clic, che a discapito di ogni necessario tentativo di confronto e approfondimento, si è limitata a gridare allo scandalo e alla ennesima strenua conseguenza del cosiddetto politicamente corretto.
LA PROVOCAZIONE SUL BACIO A BIANCANEVE
Quella delle due giornaliste non era una denuncia, ma solo un’idea. Ogni qualvolta però che si pone una questione di ragionamento, si tende a far passare come eccessivo ciò che invece era soltanto ipotetico, o tutt’al più problematico. Ma per la società della resilienza a tutti i costi (che diventa a tutti gli effetti performance), per la società della positività che tenta di sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo – porre in questione lo status quo delle cose (e anche evidentemente delle favole) è senza senso, o peggio, grave, terrificante, eccessivo, sbagliato. “Furore su Disney” “Bufera” “Polemica” . Queste le categorie scomodate nei titoli dei giornali online che hanno riportato la notizia generando enorme clamore.
La pratica di ingigantire è un espediente classico che si verifica in rete e che in genere provoca una divisione netta fra favorevoli e contrari: un tifo da stadio si alza al di sopra degli eventi senza che, spesso, neanche si conoscano a fondo i termini della questione.
Di fatto non c’è stato nessun attacco alla favola classica e arcinota di Biancaneve: certo si è usato un argomento oggi all’ordine del giorno, per via dei numeri sempre sconcertanti di atti di violenza contro le donne e per la messa a tema degli argomenti di fatto costituenti quella cosiddetta cultura dello stupro che ancora oggi è al centro del dibattito publico.
Gridare quindi alla dittatura del politicamente corretto – negli ambiti della vita sociale nella quale sempre di più emergono i temi legati alla messa in minorità di intere categorie del vivente (donne, disabili, omosessuali, non-bianchi) – è di fatto un modo che ha la comunità di rifuggire la complessità con quella che Byung-Chul Han nel suo “La Società senza dolore” appena edito da Einaudi chiama la politica palliativa.
Quella cioè in cui imperversa “una algofobia, una paura generalizzata del dolore” che ha “il compito di modellare l’essere umano nella forma di un soggetto di prestazione il più possibile estraneo al dolore e sempre felice”.
E cosa c’è di più lontano dalla semplicità del porre una domanda scomoda, una questione dubitante, una messa in discussione della ‘tradizione’, fosse anche di una semplice favola?
Sembrerebbe inaudito quindi mettere in discussione l’esito romantico di una favola per bambini alla luce di temi che invece, a mio avviso, andrebbero affrontati, come quello per esempio del consenso nelle relazioni sentimentali e sessuali fra le persone.
Quando una società mette in discussione se stessa, perché la metà dell’umanità – questo sono infatti le donne, la metà degli esseri viventi – reclama il diritto alla libertà e alla autodeterminazione, non ci si può sottrarre dal confronto né dalla discussione.
Il conflitto non si può silenziare, per il semplice fatto che “da che mondo è mondo il mondo funziona così”. Allora bisogna affrontare la paura del dolore che un cambiamento genera, perché “le sofferenze sono un codice: contengono la chiave per comprendere ogni società” (Han).
Tuffarsi nel ripetere che il politicamente corretto non è diventato altro che il modo per ‘non poter dire più niente’ non è che l’ennesimo posizionarsi pro o contro – senza attraversare il dibattito conoscendone la dimensione reale – per ottenere qualche like tanto facile quanto vuoto e avvelenato, proprio come la famosa mela.