Benny Goodman: ricordando “The King of Swing”
Per alcuni era solamente il figlio di due immigrati ebrei provenienti dalla Russia, per molti è stato colui che è riuscito ad aprire un varco nella mentalità americana degli anni ’30. Un musicista, un creativo, un rivoluzionario. Benjamin David “Benny” Goodman, come disse il suo amico Gene Krupa, è semplicemente il “Re dello Swing“.
A trentasette anni dalla sua scomparsa, a soli 77 anni, lo vogliamo omaggiare e ricordare così, ripercorrendo la sua vita, dai primi anni al Chicago Music College, fino alla nascita della “Big Band” e ai momenti più importanti della sua carriera come clarinettista jazz.
Benny Goodman non fu semplicemente un grande musicista. La sua caparbietà e volontà lo spinsero oltre, rendendo un mondo esclusivo come il jazz, non solo per la cultura nera, ma anche per i bianchi. Grandi qualità. Già, perché se è dai primi anni che si vede se un bambino sia dotato o meno, con Benny, i suoi genitori, non ebbero dubbio; soprattutto suo padre, l’uomo che lo spinse a creare il prima possibile la leggenda.
Fu grazie ad un concerto tenuto da alcuni musicisti jazz provenienti da New Orleans che il giovane Benjamin finì per innamorarsi definitivamente del genere di cui diverrà maestro; insieme a Ben Pollack e la sua band, una delle più importanti di Chicago, capitale del jazz, suona con gruppi internazionali, incide i suoi primi pezzi e conosce Bix Beiderbecke, leggendario cornettista.
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L’eleganza che caratterizzava ogni sua performance, lo stile unico e raffinato con cui suonava il proprio strumento, tutto ha reso Goodman il maestro di un nuovo genere musicale, figlio stesso del jazz: la musica tradizionale, quella degli schiavi, stava compiendo un salto in avanti che gli avrebbe spalancato porte su porte. E così il vecchio lasciava posto al nuovo e il classico dava il benvenuto a Benny e al suo Swing.
Per capire al meglio il potere di quest’uomo, dobbiamo intendere il termine in questione: la differenza fondamentale fra il classico jazz di Armstrong ed Ellington, con il nuovo swing, sta tutto nel ritmo. Benny lo aveva capito e per questo la musica era così diversa, così nuova, pronta a spingerti a ballare per tutto il tempo. Con la sua Big Band, il quartetto Wilson-Krupa-Hampton-Goodman, arriviamo all’apice del successo, registrato nella mente di tutti con la data 1938.
Siamo al Carnegie Hall di New York City dove si tenne il concerto più famoso della sua carriera, con un clamoroso tutto esaurito (2760 posti occupati) e una scaletta a dir poco memorabile. Don’t Be That Way, Sometimes I’m Happy e One O’Clock Jump, queste furono solo alcune delle canzoni che riempirono la mente e il cuore di tutta quella gente. Questa esibizione fu l’apice di un periodo storico nonché di un’intera carriera, almeno fino all’arrivo del bebop jazz con la guerra.
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Lo swing aveva unito e conquistato. Fu grazie a Benny che il jazz non restò la musica esclusiva dei neri, per sempre. Avvicinò il mondo e la cultura bianca a quella tradizionale ormai obsoleta degli schiavi d’America. Un importante passo per la musica, che non è più privata ed esclusiva di chi la crea, ma diventa finalmente di tutti, mondiale.
Il Re del Jazz è riuscito molto facilmente in quell’impresa, posando le labbra e le dita sul suo bellissimo clarinetto e dando vita al jazz. Molti critici di musica sono oggi dell’avviso che Goodman ha avuto lo stesso valore, per il jazz e lo swing, di Elvis Presley per il Rock’n’Roll, entrando così nel famoso Olimpo della musica.
Personalmente? Ce lo vedo bene accostato alla leggenda del rock’n’roll! Grazie Benny, per averci dato modo, ancora oggi, di esser parte di un mondo che appariva di nicchia ed esclusiva e che adesso ha una portata mondiale ma soprattutto immortale nel tempo.
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