Ascanio Celestini tra i primi in scena dopo il lockdown: “Il Governo ci considera un passatempo”
Lunedì 15 giugno Ascanio Celestini sarà tra i primi a salire su un palcoscenico alla riapertura dei teatri e lo farà a mezzanotte e un minuto in totale sicurezza. Che bisogno c’è di aspettare?
L’attore romano porterà al Teatro Sperimentale di Pesaro “Radio Clandestina”, opera basata sul libro di Alessandro Portelli, “L’ordine è già stato eseguito”, che segnò vent’anni fa il suo debutto “tra quattro lampadine e la voce di Pasolini registrata in un’audiocassetta”. Celestini lancia un attacco molto critico alle forze che ci governano, che forse non hanno mai riconosciuto all’arte, in generale, e al teatro, nello specifico, quel ruolo preponderante che dovrebbero avere, soprattutto in una nazione come la nostra, “che produce cultura da tremila anni”.
48 anni da poco compiuti, Ascanio Celestini, che nella vita è anche uno scrittore e regista cinematografico, non le manda a dire e spera che il suo spettacolo – riguardo uno degli episodi più tragici dell’occupazione nazista in Italia, quello delle Fosse Ardeatine e dell’azione in via Rasella – smuova le coscienze della gente verso una nuova liberazione, affinchè “la memoria possa rafforzare il futuro”.
Piacere di averti con noi, Ascanio. Come stai? Come hai vissuto i mesi appena trascorsi?
Sono nato e cresciuto invidiando quelli che vivono al centro di Roma, ma anche al centro di Napoli o Palermo o Torino, eccetera. E anche quelli che stanno in città belle e piccole nelle quali la periferia sta a un passo dal duomo e il teatro è a portata di passeggiata. Dove abito io è tutto lontano, persino la più periferica fermata della metropolitana. Col lockdown tutto il mondo è diventato una sconfinata periferia e tutti ci siamo trovati lontani da tutto. Tutti nella periferia di un centro che è stato azzerato. Attorno a me è rimasto più o meno il panorama che c’era prima. I pochi negozi aperti sono alimentari, ferramenta e farmacie. Nemmeno i bar hanno chiuso perché vendono le sigarette. L’unica grande differenza è stata che non potevo montare sul furgone e partire per la tournée e sono rimasto a guardare il mondo da una finestra virtuale.
Sarai tra i primi a calcare un palcoscenico dopo la quarantena degli ultimi mesi. Come è nata l’idea? Come ti senti?
Mi sento come molti altri lavoratori sbalorditi davanti alle misure prese dal governo. La classe dirigente di questo paese ha usato la metafora della guerra dal primo momento. A giorni alterni hanno evocato persino il piano Marshall. Salvini ha cambiato spesso idea, prima bisognava aiutare l’economia poi fregarsene e chiudere tutti in casa, poi di nuovo sostenere gli imprenditori con ogni mezzo perché “in guerra si adottano le misure di guerra. Non ci sono mezze misure”. E quando Conte diceva che “serve una potenza di fuoco proporzionata alle risorse di un’economia di guerra”, Berlusconi gli si affiancava perché “siamo in guerra e in guerra ci si stringe intorno a chi ha la responsabilità di decidere”. Se insistevano con questa immagine bellica evidentemente avevano i loro motivi. Infatti mentre la gente moriva tante fabbriche sono rimaste aperte. E tra queste c’erano le fabbriche di armi. “In Italia sono 231 le imprese produttrici di armi e munizioni”, una sola produce ventilatori polmonari. Gli operai andavano a produrre bombe, mentre gli artisti e i tecnici dovevano stare a casa per motivi di salute pubblica. Se gli italiani non colgono quest’assurdità significa che non si sono accorti di vivere in un paese che produce cultura da tremila anni.
Il 20 marzo avrei fatto spettacolo a Pesaro, ma una dozzina di giorni prima il governo ha chiuso le porte dei teatri. Ora che possiamo riaprirle rispettando le norme igieniche più di quanto l’industria italiana rispetti la vita penso che sia un segnale importante farsi trovare pronti un minuto dopo la mezzanotte del 15 giugno per recuperare almeno il teatro che abbiamo accantonato.
Immagino che la scelta di “Radio Clandestina” non sia stata casuale..
L’ avrei dovuta portare su quel palco tre mesi prima. Ma è anche vero che per me e altri artisti è possibile tornare prima di altri sul palco perché noi abbiamo sempre fatto un teatro d’urgenza. Chi s’è mosso spendendo cifre importanti per allestimenti imponenti farà fatica a confrontarsi con i problemi di un teatro che può impegnarsi per dare spazio ai contenuti, ma non ha soldi da spendere per la forma. Io ho debuttato con questo spettacolo vent’anni fa. Avevo quattro lampadine e la voce di Pasolini registrata su un’audiocassetta. Due decenni dopo il mio teatro è lo stesso.
Come vi siete organizzati per rispettare le norme sul distanziamento all’interno del teatro?
Come ci si organizza in qualsiasi altro posto. Possiamo fare la spesa al supermercato e lavorare in catena di montaggio. Tra un po’ anche i calciatori torneranno a correre appresso alla palla e sudare uno addosso all’altro. Quali problemi ci sono in teatro? La circolare ministeriale n. 5443 indica per la decontaminazione l’uso di “ipoclorito di sodio, etanolo e perossido d’idrogeno”, quest’ultimo agente solo per gli ambienti sanitari. In sintesi: spirito e varichina. E poi si rispetterà il distanziamento e l’uso della mascherina dove previsto. Punto
Quanto, a tuo avviso, questi mesi molto bui per lo spettacolo ma soprattutto per il teatro, hanno fatto emergere le contraddizioni di un settore forse già precedentemente in crisi? Cosa si può e si deve fare affinché la cultura rappresenti un bene di prima necessità insieme al cibo e all’acqua?
Come sostegno straordinario erano previsti 600 € mensili per chi ha fatto 30 giornate lavorative nel 2019. Poi il numero è sembrato alto e s’è scesi forse fino a 7 giornate. Considerando che la paga minima sindacale è di circa 70 € al giorno, c’è stato chi lavorando avrebbe portato a casa 150 euro e, non lavorando, s’è trovato una cifra quattro volte più grande. Chi invece avrebbe fatto una trentina di giornate almeno in due mesi ha preso abbondantemente meno della metà. Il governo ha fatto l’elemosina a tutti senza distinguere chi è professionista, chi lavora saltuariamente, chi è sfruttato e anche chi guadagna in nero. Questi mesi di fermo non hanno fatto emergere gli scheletri dalla palude teatrale. Al contrario è stata messa una ciclopica pietra per nasconderci tutto.
Se davvero si volesse dare prospettive e dignità, diritti e doveri uguali per tutti il governo dovrebbe avviare una mappatura delle realtà che producono cultura nel paese e inquadrarle in un piano regolatore culturale.
La classe politica ha compreso che il teatro è lavoro?
La frase di Giuseppe Conte è un lapsus rivelatore. “Abbiamo un occhio di attenzione per i nostri artisti, che ci fanno tanto divertire”. La classe dirigente ci considera un’ alternativa all’aperitivo, un passatempo.
Il teatro si può fare ovunque? Si può fare anche online oppure è una dimensione che non rispecchia l’essenza di questa arte?
Il teatro si può fare dove c’è un attore e uno spettatore che si incontrano in uno stesso luogo. Quel luogo diventa teatro sia quando lo è perché è stato costruito per esserlo, sia quando lo si sceglie consapevolmente. Io faccio i miei spettacoli ovunque. Nei meravigliosi teatri all’italiana e in quelli moderni senza palchetti dorati e velluti rossi, nelle fabbriche, in strada e anche sotto terra. Ma quando l’artista e lo spettatore non si trovano nello stesso luogo il teatro non c’è più. C’è qualche altra cosa. Il cinema, per esempio. Se utilizzare l’immagine filmica è una scelta, per me va benissimo. Io stesso ho fatto film come attore e regista oltre che i miei spettacoli per la televisione, performance video, in radio e persino un disco. Ma, senza accuse e tantomeno condanne, dobbiamo onestamente chiederci quanti di noi in queste settimane hanno scelto di cambiare linguaggio per un’esigenza espressiva.
Vorrei salutarti con questa domanda: cosa ti aspetti a partire dal 15 giugno per il teatro e le arti visive in generale?
Mi aspetto che si leggano con passione e competenza i segni lasciati da questo spettro che sta attraversando il pianeta. I giornalisti hanno il compito di raccontare la vita mentre è in corso, fanno una sorta di telecronaca, ma non conoscono il finale. Gli storici collocano le vicende nelle grandi cornici della Storia. Per noi la vita è un corpo sul tavolo anatomico. Dobbiamo distinguere i graffi dalle ferite, cercare tra le rughe la bellezza e il dolore.
ph. Musacchio, Aianniello & Pasqualini