5 ottobre, l’apertura del Mundus Patet | ArcheoFame
“Si contentano di poco i Mani, apprezzano di più la devozione che non i ricchi regali; non c’è avidità tra gli Dei che affollano le rive dei fiumi infernali. Basta una tegola della casa, che sia coperta da una ghirlanda, qualche chicco di grano, una manciata di sale, del pane inzuppato nel vino, qualche violetta.” (Ovidio, Fasti)
Con il nome di Mani si intendevano gli spiriti dei defunti che si trovavano nel sottosuolo. Già anticamente si discuteva sulla reale natura di queste entità: alcuni li consideravano veri e propri dèi che governavano il regno sotterraneo, per altri, ad esempio Varrone, in origine l’aggettivo manus significava “buono” e per questo gli spiriti Mani erano benevoli e aiutavano i vivi a placare l’ira dei defunti nei giorni in cui le due dimensioni si mischiavano.
Secondo il calendario romano solamente in tre giorni dell’anno (24 agosto, 5 ottobre e 8 novembre) il mondo dei morti entrava in contatto con quello dei vivi.
Questa ricorrenza era denominata “Mundus Cereris”, il mondo o la “fossa” di Cerere, indicato nei calendari romani anche come “Mundus patet”, il giorno in cui il passaggio è appunto, aperto. Il mundus Cereris affonda le sue radici nella religione romana arcaica, probabilmente retaggio di rituali di origine etrusca. La madre dei Mani infatti era, secondo alcune tradizioni, la dea etrusca Mania (da qui il nome di Mani), sposa del dio dell’oltretomba etrusco Manthus, il cui nome rimanderebbe alla parola mundus.
Lo scavo
Dopo aver delimitato uno spazio sacro in mezzo ai due assi ortogonali (cardo e decumano), nel punto centrale si scavava una fossa che fungeva da legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti; questa veniva poi ricoperta da grandi lastre di pietra. Fu chiamata mundus esattamente come la sua controparte, la volta celeste.
Ne Fastus
L’apertura della buca permetteva, esattamente come nella notte di Halloween, che i morti tornassero a camminare sulla terra. Le offerte, arcaici dolcetti, servivano quindi a placare la furia dei defunti. Il vero problema però, era che il mundus potesse “risucchiare” i vivi e trascinarli negli abissi del mondo ctonio. Infatti era assolutamente proibito in questi giorni detti “nefasti” compiere la maggior parte delle azioni quotidiane della vita di un antico romano medio: cominciare una guerra, fare la leva, sposarsi e. aprire le porte dei templi
Il mundus romuleo
L’idea di una fossa che collegasse la terra al mondo sotterraneo fa parte di un gruppo di rituali noti legati anche alla fondazione della città. Secondo Plutarco Romolo stesso, aiutato da alcuni etruschi da lui convocati, scavò una fossa circolare e vi gettò dentro le primizie del raccolto. Questa fossa era chiamata dai Romani proprio mundus. Più in generale l’idea si legava ai culti misterici di purificazione, rinascita e rinnovamento.
Anche per i nostri avi comunque, il comportamento in vita determinava la sorte post-mortem:
“Dicit quidem et animas hominum daemones esse et ex hominibus fieri lares, si boni meriti sunt; lemures, si mali, seu larvas; manes autem deos dici, si incertum est bonorum eos seu malorum esse meritorum.” (afferma inoltre che anche l’anima umana è un demone e che gli uomini divengono Lari se hanno fatto del bene, fantasmi o spettri se hanno fatto del male e che sono considerati Dei Mani se è incerta la loro qualificazione. Apuleio)
A voila scelta dunque: dannati, beati o Dei Mani.
Foto: Paul Cézanne “Tre teschi”