“Animal House”, cioè la pietra miliare dei college movies
Quando John Belushi e John Landis diedero vita ad “Animal House” probabilmente non avevano idea di aver creato il capostipite di un nuovo genere cinematografico. Con questa pellicola, che esordì nelle sale il 28 luglio del 1978, fece il suo ingresso al cinema la commedia demenziale in ambientazione scolastica.
Sarebbero venuti dopo i vari “La rivincita dei nerds”, “Porky’s”, “American Pie” e “Maial college”. Solo per citare i più gettonati e i degni di nota. Altrimenti sulle varie piattaforme streaming sono decine i film che ricalcano la trama e l’idea concepita da “Animal House”.
Il padre dei college movies fu un mix di satira e politicamente scorretto. Tutto ciò che oggi probabilmente sarebbe censurato.
Ispirato ad una rivista di Douglas Kenney, Henry Beard e Robert Hoffman, “National Lampoon”, che fornì parecchi spunti per le vicende delle matricole Larry (Tom Hulce) e Kent (Stephen Furst), il film di Belushi (nel film John “Bluto” Blutarsky) tratta della rivalità di due confraternite del Faber College.
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Un tema divenuto poi il più classico dei film di questo genere. Da una parte la borghesia, i massoni, gli studenti più brillanti e fortemente gerarchizzata. Una sorta di scuola militare fatta di nonnismo e soprusi. Dall’altra la confraternita che accetterà i protagonisti. Un coacervo di sbandati, ribelli, ripetenti.
Quello che la mamma ti direbbe di non frequentare. Ma che ogni studente sogna di incontrare.
La “Delta Tau Chi” (ΔΤΧ) è quel modo ironico di vivere la vita senza troppi pensieri. Unico obiettivo: divertirsi.
In che modo? In qualsiasi. Dal sesso, alle battute, alle sbronze, agli scherzi e perchè no, alle risse. Da che mondo e mondo una rissa è quanto di più presente negli anni del college (o del liceo italiano). Oggi sono tutte situazioni, queste, demonizzate in qualsiasi modo. Ma negli anni che portano gli studenti ad una pseudo maturità, sono quelle che li portano a scoprire se stessi. Anche in questi modi che pochi genitori consiglierebbero ai propri figli.
“Animal House” invece fa proprio questo. Rende fico quei personaggi. Quel tipo di studente.
Senza i protagonisti di questo film non si avrebbe avuto Steve Stifler, il mito delle “Milf”, gli scherzi da bulli ai ragazzi della banda (con buona pace dei bacchettoni del 2021), Noah Levenstein e il prototipo del padre con un passato (ma anche un presente) tutto da scoprire.
L’irriverenza di questo film del 1978 oggi è ancora controcorrente. Un mix di idee dissacranti che fanno rabbrividire il politically correct.
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Un capolavoro nel suo genere. Che ovviamente ha ispirato tante schifezze. Pellicole che andrebbero cancellate oggi stesso. Non per quello che dicono. Ma proprio perché indegne di essere figlie di questo film che nel 1978 era dato da tutti come perdente in partenza.
Ma che incassò circa 141 milioni partendo con un budget di soli 3 milioni di dollari.
Nel 2000 l’American Film Institute l’ha inserito nella lista delle cento migliori commedie americane di tutti i tempi e l’anno successivo è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Evidentemente la massima celebre di questo film “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare: chi viene con me?” è stata profetica.
Sceneggiatori, produttori e attori si sono messi in gioco. E hanno vinto, se a 43 anni di distanza sono ancora una pietra miliare per chi tenta di riprodurre pellicole ambientate nei college con l’intento di demitizzare. E allora “Toga, toga, toga”. E via con un bel party tra lattine di birra, approcci tra ragazzi e musica black di Otis Day and the Knights.