Andrea Agresti si è rotto: “fuck the virus” e la lotta metallara al covid 19
Andrea Agresti, figura emblematica delle Iene, noto appassionato di musica rock e heavy metal, assieme a Lauretta, attore, speaker radiofonico e imitatore, e il cantante Davide De Marinis, è da poco uscito sul mercato con un singolo goliardico e fin troppo esplicito nel messaggio del suo contenuto.
Il titolo, “Mi sono rotto”, è un grido che serve a scaricare la tensione provocata da questo periodo travagliato, confuso, contraddittorio, dove ci sembra di vivere sospesi in un tempo che non ci appartiene in attesa di tornare alla vita normale, quella precedente alla pandemia.
Non solamente un volto noto della televisione italiana, Andrea Agresti è una dinamite di spontaneità. Genuino, schietto, appassionato e coinvolgente, si è lasciato andare a una chiacchierata a tutto tondo in attesa di una prossima intervista dove parlare esclusivamente di heavy metal. Promessa segnata. La faremo. Ma prima godiamoci queste parole. Perché anche noi ci siamo rotti.
Andrea, ti sei rotto. Credi che lo stesso valga per gli italiani?
Tutti ci siamo rotti. Bisognerebbe essere dei feroci criminali al limite della bestia per non rompersi di questa situazione. Ma non con riguardo alla libertà, bensì a una condizione che ogni giorno fa sparire amici, parenti e conoscenti. Il nostro è un libero sfogo, preso anche da un punto di vista più goliardico. Tutte le misure che ci vengono date sono importanti e vanno rispettate, ma alla fine uno si rompe un po’ i coglioni. Non fanno parte della nostra naturalezza e non possiamo pensare che evitare di abbracciarci o stringerci la mano sia normale. Non possiamo pensare che sia normale, ecco. “Mi sono rotto” è un augurio che questo covid se ne vada, è un ospite indesiderato, ha stravolto e distrutto le nostre abitudini. Il nostro è un “mi sono rotto” planetario. C’è il paradosso anche di chi ha altre problematiche rispetto al covid, pensiamo agli indigenti o a malati affetti da altre patologie.
Credi che questa situazione sia anche figlia di politiche disattente ?
La nostra politica è incapace di gestire questa emergenza, è evidente, ma non la si può colpevolizzare del tutto. Ci troviamo di fronte a una cosa inaspettata e gigantesca. Nel nostro singolo non ci schieriamo né a favore né contro la classe politica, ma contro il covid che ha stravolto tutto e che ha reso fastidiose anche le cose più normali. Questo singolo è anche un tributo a chi è in trincea per contrastare questo dannato virus.
Oltre all’aspetto sanitario e a quello economico, non può passare in secondo piano quello sociale, altrettanto a pezzi…
Come diceva Aristotele, siamo animali sociali. Abbiamo bisogno del colloquio, del confronto e del dibattito. Per lo meno per le specie che vivono in superficie. Sott’acqua, poi, l’evoluzione paritaria all’essere umano è la piovra. Nella sua evoluzione vive in modo solitario, ma è la massima espressione della sua specie. Noi, per natura, abbiamo scelto di essere sociali. Dibattito e confronto sono indispensabili, indipendentemente che l’argomento sia la cultura, la comunicazione o lo sport. Le passioni si incontrano. Quando ciò manca è la fine di tutto, anche se ci viene incontro la tecnologia. Cosa sarebbe accaduto se questo virus fosse arrivato negli anni Ottanta? La tecnologia aiuta, è vero, però mi spaventa anche. Abbiamo bisogno di sentire il puzzo delle ascelle del nostro compagno di banco, di vedere i suoi capelli sporchi, le sue maglie gualcite. Mi auguro che questa cosa possa finire al più presto. Il concetto di prossemica è stato totalmente stravolto. Non ci si può né si si deve abituare alla distanza.
Cosa ne pensi dei concerti online? Dua Lipa, Foo Fighters, Gorillaz sembrano aver tracciato una strada. Il futuro è questo?
Ora, per andare avanti, l’unica salvezza è la tecnologia. Bisogna utilizzarla a nostro favore senza esserne schiavi. Occorre la consapevolezza di saperla contestualizzare. I concerti rock? Tutto un altro mondo, dai. Vuoi mettere la fatica di stare in piedi, il puzzo di sudore di ascelle, birra e piscio di chi è al tuo fianco, i rumori della musica e della gente? E’ un ambiente. Poi, personalmente, sono appassionato degli errori commessi e di come vengono risolti nel mentre, come ad esempio un assolo sbagliato che viene poi recuperato. Tutto questo non si può sostituire, inutile provarci. E poi significa vita vera, cos’altro vuoi di più rispetto al materiale umano che si trova a un concerto?
Mi viene in mente il primo tour degli Iron Maiden all’indomani della vittoria di Bruce Dickinson sul tumore. Grande coraggio, grande determinazione, grande grinta, anche al cospetto di prestazioni non esaltanti…
E’ vero, in quel tour Bruce era in difficoltà. Come avrebbe potuto essere altrimenti? E’ un cantante e ha sconfitto un tumore alla lingua. Ma quanto cuore! Quanta generosità! Penso anche a un concerto degli Scorpions a Padova. Durante tutto lo show Rudolf Schenker non si fermò un attimo, eppure sbagliò clamorosamente l’assolo di “Wind Of Change“, probabilmente la loro canzone più famosa. Non prese una nota, neanche per sbaglio. Più tentava di recuperare, più sbagliava. A un certo punto alzò le mani per ammettere l’errore e la gente lo applaudì riconoscendo il suo momento. Fu intenso ed emozionante. Anche gli errori danno emozioni. E va perdonato anche quell’errore. Vuoi mettere la stessa scena vissuta dietro lo schermo di un pc o di una televisione?
Un anno suddiviso in tre: lockdown, riaperture estive, semilockdown invernale. Quali ascolti ti hanno accompagnato in questi dodici mesi?
Sono gli stessi che mi hanno tenuto compagnia durante gli ultimi trent’anni. Non ce n’è uno in particolare. Sono nato, cresciuto e morirò con gli Iron Maiden nel cuore. Ancora li sento e ancora mi emozionano. Indipendentemente dal lockdown, mi sono risvegliato e ho risentito da capo Seventh Son of a Seventh Son, con The Prophecy nelle orecchie, uno dei pochi pezzi scritti da Dave Murray che sappiamo non essere il compositore principale della band. Chi altro mi ha sempre fatto compagnia? Mike Patton in tutte le sue forme, in tutte le sue band, anche se lo preferisco nei Faith No More, nei Tomahawk e Mr. Bungle. Poi, che dire, ho troppa, troppa, passione per Kiske, Helloween, Unisonic e tutto quello che ha fatto uno come Ian Gillian. Non mi abbandonano mai i Metallica o i System Of A Down di Sergej Tankian che ho conosciuto solo più tardi. Ma le origini vanno sempre lì, alla Vergine di Ferro. Ah, poi ci sono le ballad degli Scorpions che sono patrimonio Unesco. Nessuno ha mai avuto quella classe le comporre ballate simili. Insomma, quanto tempo ho per parlare di heavy metal?
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