Andrea Bocelli, colpevole di aver detto la sua
È un periodo delicato. Abbiamo superato le vedute catastrofiste sull’economia, che minacciavano di tagliare metà dei posti di lavoro, per scoprire che gli unici mestieri a rischio erano quelli dei virologi prede di allucinazioni psichedeliche – pulite la cornetta del telefono, mettete i guantini, il virus entra anche dalle orecchie – e nei tre mesi di quarantena i servizi di streaming ci hanno mostrato tutte le debolezze del cinema italiano e hanno annunciato come un presagio funesto la quinta stagione de La Casa di Carta.
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Mentre ci lasciamo alle spalle abitudini portate avanti per mesi e cerchiamo di riprende contatto con la realtà, un’intera sottocultura fatta di medici pensierosi tenta di rimanere aggrappata al mondo che prova a rinascere come gli ultimi colpi di luce calda al sorgere dell’autunno. L’alternativa sarebbe tornare nelle stanze fredde dei laboratori a fare la conta delle provette. Meglio considerare davvero il virus come una guerra batteriologica e aspettare pazientemente sulla sponda che un altro cadavere cavalchi il letto del fiume.
Il problema non è fare la conta dei morti, che è l’atto finale di tutte le guerre, ma stabilire, prima di tirare le somme, quand’è che l’emergenza finisce. Un parere poco autorevole degli ultimi giorni è stato quello di Andrea Bocelli: non un intervento illuminante, ma una critica ai metodi di restrizione delle libertà durante il lockdown. “Umiliato e offeso, […] ho violato le restrizioni uscendo lo stesso, perchého una certa età e ho bisogno del sole e di vitamina D” ha detto il tenore. Risponde subito Fedez: “Ogni tanto fare silenzio non fa male” e sventola un amico intubato come prova vivente della pandemia. Si corregge Bocelli: “Sono stato frainteso, non sono un negazionista ma un ottimista”. Schieramenti a parte, il botta e risposta ha suscitato un dibattito acceso, tirando in ballo perfino meriti artistici – Bocelli è un orgoglio nazionale solo se la dice giusta.
Ora: chi è Bocelli per dire che il virus non esiste? Nessuno, e questo è il punto. Bocelli è l’ultima di una serie di voci che polemizza o si esprime a favore del lockdown. Prima di lui, il circo di artisti RAI che invitava a chiudersi in casa e leggere le poesie di Alda Merini o guardare un bel film, bere un buon vino. Il fatto che di due schieramenti assolutamente inutili ai fini scientifici – gli artisti pro e gli artisti contro i restringimenti, come se fosse una Partita del Cuore – soltanto uno di questi venga trattato come un gruppetto di baluba raccattati nel Madagascar dimostra non una ragione della fazione opposta ma la politicizzazione del dibattito: hanno ragione i catastrofisti, perché vanno da Fazio. Toccarli significa violare degli idoli sacri, meglio lasciar stare.
Burioni, medico in prima linea dell’informazione scientifica sui social e in televisione, canna due interventi su tre, passa intere ore nei salottini Rai a raccontare della sua battaglia, tirando ipotesi come quando si gioca una schedina con il sistemone. Realizzare che, in Italia, un Bocelli che lamenta una sequela di mesi di ridicola informazione scientifica, a ragione o torto, abbia più peso di uno stormo di virologi che gioca a chi la tira più lontana mentre nel resto del mondo cercano il vaccino è la vera sconfitta di questo Paese.