L’Abruzzo magico negli scritti di Davide Ferrante
È l’Abruzzo antico e misterioso quello che David Ferrante, sociologo e saggista teatino, ama raccontarci attraverso i suoi scritti. Una terra ricca di tradizioni, miti e leggende, dalle radici aspre e solide. Le stesse che le sue genti dal carattere tenace si trascinano dietro anche quando la necessità le costringe a vivere lontano.
Appassionatosi al folklore e all’enogastronomia durante il percorso di studi del dottorato di ricerca in Scienze sociali, dopo la pubblicazione di alcuni testi specialistici di impronta sociologica, Ferrante ha intrapreso la sua attività di saggista-narratore. In una misura spontanea e aperta è diventato cultore di un Abruzzo arcaico e popolare a partire dal racconto Quando passò la pandafeche, incluso nella raccolta Raccontami l’Abruzzo (Tabula Fati, 2017), a cura di Rita La Rovere.
Rievocazione della credenza legata alla vecchia strega-fantasma che opprime il sonno dei dormienti rubando loro lu fiate, la pandafeche riemerge dai ricordi dell’infanzia accanto alla figura protettiva dell’anziana nonna. A questa donna l’autore demanda la funzione di voce narrante necessaria a spiegare ai lettori, forse anch’essi memori di racconti simili ricevuti un tempo lontano o del tutto ignari dell’esistenza di un tale personaggio nell’immaginario folklorico locale.
I racconti dei nonni, tramandati da una generazione all’altra, attraverso quello che noi immaginiamo come un lunghissimo tratto della nostra storia locale, i culti, le tradizioni, le credenze costituiscono il “serbatoio metafisico” a cui la collettività attingeva nel tentativo di controllare la natura, riducendo la sua misteriosa forza e imprevedibilità a un’entità terribile ma al contempo addomesticabile.
E forse è proprio questo, ancor più delle lacrime e dello spavento del bambino, a intenerire il lettore del racconto. La pandàfeche apre così la strada a un filone di ricerca antropologica che porta David Ferrante a occuparsi di erbe medicamentose o letali, di culti atavici, di magia e antiche credenze, approdando alla stesura di un interessantissimo saggio sul personaggio di Giovanni Battista nel folklore abruzzese e alla realizzazione di due raccolte di racconti di grande successo di pubblico: la prima scritta a “trentaquattro mani” su figure di streghe e guaritrici realmente esistite in un Abruzzo più o meno arcaico, recuperate dall’oblio o riscattate dalla stigmate di prodotti di una subcultura popolare attraverso la finzione narrativa, la seconda, frutto della collaborazione tra dodici autori, restituisce vita e seduzione affabulatoria a miti e leggende del popolo, le stesse che accendevano il cuore e la fantasia dei nostri antenati raccolti attorno al focolare nelle lunghe sere d’inverno.
San Giovanni Battista nella cultura popolare abruzzese (Tabula Fati, 2018), come esplicita il sottotitolo stesso, si offre come un compendio di tradizioni, riti e sortilegi che caratterizzavano nella cultura popolare abruzzese il periodo di attesa della notte di San Giovanni tra il 23 e il 24 Giugno.
Dopo la necessaria rievocazione della figura del Santo secondo le Sacre scritture e l’agiografia tradizionale, Ferrante ci apparecchia una gustosissima carrellata di leggende locali, riti propiziatori, costumi relativi al legame del comparatico, così importante per la devozione portata al Santo da divenire non rescindibile e più potente dei legami parentali stessi. La notte di San Giovanni, come il duplice volto del Giano romano, ha in sé una doppia, oppositiva valenza religiosa e simbolica: è la notte in cui si armonizzano e si presentano nella loro veste salvifica diverse forze e forme della natura, avvengono prodigi, le erbe diventano magiche e le guaritrici le raccolgono per le loro qualità medicamentose, le acque, spesso mescolate alle erbe, acquistano un potere sanatorio e propiziatorio elevatissimo (credenza che ben si collega alle primigenie forme di culto legate alle acque in Abruzzo).
Ma è anche una notte di sabba, in cui le streghe raccolgono le erbe nocive per le loro fatture di morte, indispettite dalle magare che al contrario se ne procurano altre, capaci di curare i mali, di scacciare i demoni e il malocchio. È la notte in cui si raccolgono le ventiquattro noci necessarie per il nocino e l’iperico che, mescolato con l’olio d’oliva, produce l’olio di San Giovanni, così benefico per la pelle.
La lista di aneddoti e curiosità è lunga e gradevole e rende il piccolo saggio un testo da cui non si può prescindere per avvicinarsi a elementi culturali di cui si sentono ancora deboli eco o che affascinano proprio per il loro sapore arcaico e salvifico. Aspetti esoterici che Ferrante ritiene di un mondo ormai in estinzione, da salvaguardare e riproporre, consapevole di come la conservazione del patrimonio demo-etnico-antropologico di una comunità sia la chiave di volta sui cui poggia la contemporaneità e la chiave di lettura necessaria a meglio comprendere la stessa. Una nuova edizione del saggio, arricchita di materiali frutto di nuove ricerche, è stata pubblicata sempre dalla Tabula Fati nel 2021.
Al 2019 risale la curatela della raccolta L’Ammidia. Storie di streghe d’Abruzzo (Tabula Fati), una silloge di racconti scritti da quattordici autori, tra cui compaiono Ferrante stesso e l’autrice del presente articolo, intorno a storie di streghe e magare realmente esistite nella nostra regione o nell’immaginario di un’intera comunità sotto forma di protagoniste di miti e leggende. I testi sono il prodotto di un’accurata ricerca documentaristica circa le storie che si addipanano attraverso le varie unità narrative e non difettano di attenzione verso gli aspetti simbolico-linguistici di riti e formule magiche, con qualche incursione nell’universo del vernacolo locale.
Con altrettanta maestria vengono ricostruite le atmosfere e gli ambienti culturali entro i quali le vicende si svolsero e si vanno a collocare, in obbedienza alle regole imposte dalla narrazione storica. Non meno interessante è la cura rivolta all’analisi delle categorie socio-antropologiche a cui viene ricondotta la figura della strega nella cultura popolare: spesso ridotta a capro espiatorio da malvagie logiche di potere e vittima di stereotipi sociali, la figura della strega finisce per aprire nuovi interrogativi su tematiche ancora scottanti e di grande attualità presso una società ancora incapace di rifiutare la volgare arma dell’emarginazione, la bramosia di dominio sull’altro e quella forma aberrante di barbarica devianza che spinge ad assistere a spettacoli di violenza e disprezzo verso le vittime.
Fanno da controcanto il sentimento della pietà, la potenza dell’immaginazione che riscatta dall’oblio e dalla barbarie, la curiosità verso un universo dai sapori arcaici e autentici: forme di vita, di saperi e di appropriazione del mondo che si tramandano attraverso costruzioni logico-linguistiche di tipo magico ed esoterico.
Nel 2020 troviamo una seconda curatela che ha dato la genesi alla raccolta Fate, pandafeche e mazzamurelli (Tabula Fati), in cui Ferrante compare di nuovo anche in veste di narratore con il racconto Viaggi dalla casa candita accanto ad altri undici autori. Protagonisti dei racconti sono questa volta personaggi che hanno fecondato l’immaginazione popolare e incantato catene di generazioni di abruzzesi con la loro potenza magica.
Si tratta di Uiddiu, il poeta Ovidio Nasone presente nelle leggende sulmonesi nelle vesti di un grande mago, del lope menare che si aggirava nelle campagne abruzzesi vittima innocente di una maledizione, del mazzamurille che viveva nei boschi, della dea Maja che accoglieva chi saliva sulla Maiella, e ancora dello Scapigliato, della Ritorna, delle fate, de lu bascialische, dello scijjone e della lunga catena di defunti che tornano attraverso la processione della scurnacchiera, per citarne alcuni, tutti personaggi a cui si restituisce vita e vigore attraverso l’incantesimo di una narrazione che sa custodirne e ancora tramandarne i segreti.
L’operazione di recupero del folklore e l’impegno a condurre il lettore in luoghi magici e carichi di storia della nostra regione è proseguita anche attraverso la pubblicazione del racconto di Ferrante Il dolore della luce, incluso nella racconta Castelli maledetti, a cura di Angelo Marenzana, (Nero Press Edizioni, 2020) e altri racconti e libri sono in arrivo attraverso nuove raccolte e soprattutto ci interessa segnalare la curatela di una nuova raccolta dedicata ancora a figure di streghe e magare abruzzesi realmente esistite.
La scrittura e l’opera di curatela di Ferrante sono, in ultima analisi, il frutto di una sorta di impegno etico che il nostro Autore ha sentito di dover assumere su di sé. Quasi un obbligo verso l’Abruzzo. Nascono dal bisogno di lasciare viva una cultura immateriale legata a condizioni di vita e di pensiero che appartengono al passato. Tutto ciò che le nuove generazioni non conoscono per esperienza diretta se non attraverso i racconti dei più anziani, spesso ascoltati distrattamente e con insofferenza da chi si ritrova irretito dalle lusinghe della modernità e di un tempo che poco concede all’ascolto e alla comprensione.
I tempi dei racconti e della memoria sono lunghi e lenti, intervallati da pause che creano sospensione e attesa. Sono i tempi buoni che lasciavano germogliare il seme e poi maturare il grano. Quelli della caduta morbida e leggera della neve e del suo sciogliersi fresco al tepore del primo sole, del gorgoglio sempre più veloce dei torrenti, delle albe e dei tramonti sui monti e sui mari, assaporati sin dai primordi della nostra storia da pastori e pescatori pazienti e usi alla tribolazione, così come alla contemplazione della bellezza esorbitante delle montagne d’Abruzzo, spiagge e lande silenziose.
Sono questi i ricordi dei nonni che David Ferrante insegue attraverso il proprio personale percorso di memorie, per risparmiarli all’ingiuria del tempo e all’ingiustizia dell’oblio e per farcene dono attraverso la scrittura come amuleto contro l’ansia dell’oggi.
di Maria Elena Cialente