A tu per tu con Giovanni Arezzo: cinema e teatro senza filtri, con Hungry Birds racconto la verità della strada
È il protagonista del toccante “Hungry birds”, lo short film scritto e diretto da Raffaele Romano (e interpretato anche da Dominic Chianese, celebre per le sue apparizioni ne “Il Padrino” e “I Sopranos”), che, dopo aver raccolto numerosi premi in molti festival internazionali, tra i quali il Best Indie Short al Los Angeles Film Awards, da poche settimane è disponibile sul canale YouTube sul link: https://youtube.be/_rpJH5wR5g.
Abbiamo raggiunto telefonicamente l’attore e regista ragusano Giovanni Arezzo, con già alle spalle una lunga esperienza sulle ribalte di tutta la penisola (tra i tanti spettacoli, ricordiamo “Il giorno del mio compleanno” e “The Aliens” per la regia entrambi di Silvio Peroni) e che ha lavorato in televisione in “Ris” e ne “Il commissario Montalbano”. Ecco quello che ci ha detto.
È stata la prima volta che ti è capitato di recitare in una lingua diversa dall’italiano? E, se sì, quali difficoltà hai riscontrato?
Sì, la prima. All’inizio pensavo che avrei avuto più problemi, ma all’atto pratico non ho sofferto per niente, anche perché non è che abbia tante battute nel corto. E comunque mi hanno aiutato molto anche i ragazzi della troupe. Ho avuto molte più difficoltà, da ragusano, a recitare in uno spettacolo scritto in catanese (ride, ndr)!
Il tuo homeless è un personaggio apparentemente molto duro da impersonare. Come ci sei arrivato, come lo hai costruito?
Sono partito per Londra qualche giorno prima di iniziare le riprese e mi sono installato a casa del regista, con il quale siamo molto amici da tempo. Ne ho approfittato per fare diversi giri per vari quartieri della metropoli, dove, purtroppo, ci sono moltissimi clochard in giro. Ho notato che ad accomunarli è un ritmo di vita diverso rispetto alle persone cosiddette normali. La loro quotidianità è molto più lenta, tutti sembravano quasi assuefatti ad una patina temporale fuori dalla velocità isterica della grande città. Ed io, nei limiti del possibile, ho cercato di appropriarmene. Con alcuni di loro, poi, ho parlato, ho cercato di capire la loro gestualità, e questa cosa mi ha dato molta forza sul set. Dove, ci tengo a dirlo, sono stato lasciato liberissimo di fare quello che volevo. Anche improvvisare diverse battute che sono rimaste nella versione definitiva del lavoro. Una cosa molto importante, poi, è stata che alcune scene sono state girate senza che la gente che viene ripresa sapesse di trovarsi davanti a una telecamera, catturando quindi le loro reazioni spontanee. Dal punto di vista umano, è stato molto toccante.
Ah, una curiosità. I soldi che ho raccolto chiedendo l’elemosina li ho poi regalati a un singolo clochard incontrato in giro. Immagina la scena: lui si è visto arrivare davanti un tizio apparentemente nelle sue stesse condizioni di povertà e disagio che lo ha riempito di monetine!
Per chi come te è impegnato contemporaneamente a teatro, nel cinema e nella televisione, una domanda dalla quale non si può sfuggire: come cambia il tuo modo di lavorare in ognuno di questi differenti ambiti?
Premettendoti che le mie esperienze in ambito teatrale sono molto più numerose rispetto a quelle che ho maturato in campo audiovisivo e che, quindi, su una ribalta mi sento molto più sicuro (anche per la mia formazione, sono diplomato alla “Silvio D’Amico”), l’obiettivo fondamentale è sempre quello di essere sciolto. Non amo sovradimensionare l’emotività dei miei personaggi, perché voglio che chi li guarda li percepisca come persone e non, appunto, come personaggi. Quindi, fin dall’inizio, impronto ogni interpretazione alla maggiore naturalezza possibile.
A tal proposito… Il registro espressivo che utilizzi in “Hungry birds” sembra molto naturale. Ti senti dunque più a tuo agio nei ruoli drammatici rispetto a quelli comici?
Quando recito cerco di non pensare troppo alla tipologia di personaggio con la quale ho a che fare, ma, come ti dicevo, alla sua “qualità umana”. Dunque, no, non credo di avere preferenze di registro o di avere problemi con la comicità. Inoltre il teatro contemporaneo ha spesso superato le partizioni rigide tra drammaticità e comicità, alternandole più volte nello stesso spettacolo e imponendo agli attori di comportarsi di conseguenza in scena. A me, per esempio, è capitato in “The Aliens” di Peroni, dove all’inizio si ride e poi, gradualmente, si è portati a piangere. Il teatro, d’altronde, non può certo prescindere dagli “sbalzi” umorali che sostanziano le nostre esistenze quotidiane, no?
Ti aspetti che la buona accoglienza di queste prime settimane possa portare questo cortometraggio ad ottenere dei grandi riscontri? E, più in generale, credi che la rete possa costituire davvero una ribalta proficua per chi fa il tuo mestiere?
Io sono assolutamente pro-rete, ritengo che sia una grande possibilità per chi fa il mio lavoro (pensiamo, solo per fare un esempio, alla forza che hanno piattaforme come Netfilx). Certo, questo periodo così particolare che stiamo vivendo impone anche altre riflessioni, nel senso che in questi giorni la rete non costituisce una delle alternative per un attore, ma la sola. In questo modo, il discorso si fa molto più complicato, perché comunque viene meno il rapporto tra attore e spettatore che sostanzia il teatro, ma anche il cinema, se vuoi. Ma, al momento, questo è…
Per quanto riguarda Hungry Birds, io spero che internet lo faccia conoscere a più persone possibile e che magari, finendo, che so, sul telefono di qualche produttore importante, possa andare incontro a qualcosa di grande. Lo meriterebbe, come dimostrano i premi che ha già ricevuto in tutto il mondo.
L’emergenza legata al Coronavirus ti ha impedito di portare a termine le nuove repliche di “Chet!” lo spettacolo che insieme a Laura Tornambene hai dedicato al grande trombettista americano. Ci puoi illuminare sul making of di questo spettacolo?
Potrei stare qui a raccontarti un milione di aneddoti, ma mi limiterò soltanto alla sua genesi. Io e Laura stavamo girando la Sicilia con una pièce dedicata a Leonardo Da Vinci e una sera, dopo una replica a Ragusa, siamo andati a casa mia per rilassarci, fare due chiacchiere. Mentre palavamo e bevevamo una birra, visto che in camera mia c’erano un po’ di dischi di Chet Baker in giro, abbiamo cominciato a parlarne, scoprendo di amarlo entrambi. A me già da tempo girava in testa l’idea di fare qualcosa su di lui e così ho chiesto a Laura se fosse interessata, lei che è una bravissima drammaturga, a lasciarsi coinvolgere in un eventuale progetto. Da cosa nasce cosa e, dopo un bel po’ di tempo, la prima stesura del testo era pronta. Ha subito diverse riscritture nel corso degli anni, prima di arrivare alla sua forma definitiva, ma, fondamentalmente, tutto quello di cui io e lei avevamo parlato quella sera a casa mia c’è sempre stato dentro. Ah, anche un’altra curiosità: durante un viaggio in Olanda con un amico (eravamo lì per lavorare ad un album), mi sono fermato a dormire una notte al Prince Hedryk hotel, nella stessa stanza in cui Chet trascorse le sue ultime ore di vita prima di suicidarsi. Inutile dirti che è stata un’esperienza molto forte.
Scegli un regista che ti piacerebbe ti dirigesse a teatro e uno che ti dirigesse al cinema. E, nello stesso tempo, scegli un attore che ti piacerebbe dirigere a teatro e uno al cinema.
Magari! A teatro sarebbe bello lavorare con Valerio Binasco, mentre al cinema mi piacerebbe Matteo Garrone. Per quanto riguarda qualcuno da poter dirigere io, ti direi Maria Paiato sulla scena e Francesco Montanari, che è un mio caro amico, dietro alla macchina da presa.
Appena terminato questo difficile periodo, compatibilmente a quelle che saranno le disposizioni sulla sicurezza che verranno adottate, ti rivedremo presto a teatro o al cinema? E temi che questi mesi di forzoso stop avranno conseguenze drammatiche per gli emergenti come te?
Non avendo ad oggi date certe di fine emergenza, è difficile capire quando si potrà tornare a lavorare. Ed è ancor più difficile capire come. Certamente mi sono saltati un bel po’ di lavori che spero di poter recuperare.
Quando penso alla situazione attuale, ci sono delle volte in cui mi sento molto ottimista, mi dico che ci sarà tanta voglia di fare, tante possibilità e tanta voglia da parte degli spettatori di ritornare a teatro. Altre volte, invece, pensando anche al fatto che il mio settore sarà uno degli ultimi a ripartire e che la gente sarà molto spaventata, mi preoccupo tantissimo. Non so, vivo fasi alterne. Speriamo vada bene