Stanley Kubrick, l’avanguardista che ha cambiato il cinema
Il 7 marzo del 1999 ci lasciava Stanley Kubrick, considerato all’unanimità uno tra i più grandi registi di tutti i tempi. “Arancia Meccanica”, “Full Metal Jacket”, “2001 Odissea nello Spazio”, “Shining”, “Eyes Wide Shut”, sono parte dei titoli che il regista e sceneggiatore statunitense ci ha donato. Film immortali, capaci di influenzare chiunque sia venuto dopo di lui, tanto nella settima arte quanto nell’immaginario collettivo.
Nato a New York il 26 luglio del 1928, scopre la passione per il cinema grazie a un regalo del padre: una macchina fotografica. Aveva tredici anni quando ebbe l’epifania artistica. La passione, incontrollabile, portò il piccolo Stanley a collaborare come free-lance per il magazine “Look”. Bastano pochi anni perché si accorga che il suo talento e la sua visione dell’arte necessitavano di ulteriori sbocchi. Inizia a frequentare corsi da cameraman per l’utilizzo della macchina da presa e approfondisce, una volta di più, l’utilizzo della macchina fotografica.
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L’esordio da regista avviene nel 1951 grazie al cortometraggio “Il giorno del combattimento” con cui omaggia il boxeur Walter Cartier. Nonostante l’autoproduzione e il pochissimo budget a disposizione, frutto, per lo più, di esigui risparmi, il prodotto ottiene un discreto successo, tanto da spingerlo a dedicarsi completamente al cinema abbandonando, così, la fotografia. Nel giro di un anno e mezzo produce altri due cortometraggi: “Flying Padre” e “I Marinai“. Nel 1953 realizza il suo primo film: “Paura e Desiderio“. Nei successivi tre anni gira “Il Bacio dell’Assassino” (1955), “Rapina a Mano Armata” (1956) e “Orizzonti di Gloria” (1957)
Nonostante la pochissima esperienza e i pochi lavori realizzati, Kubrick suscita l’interesse degli addetti ai lavori e cultori della materia che intravedono in lui un potenziale sconfinato. Vengono messe in luce alcune tecniche registiche che ne segneranno il percorso artistico come “l’occhio meccanico” in cui la soggettività è data direttamente dal regista e non dai personaggi. Oppure come i tempi d’azione in cui le inquadrature, specialmente sui personaggi, sono più prolungate del previsto, marcando e accentuando gli sguardi e le espressioni degli attori. E poi c’è la circolarità delle scene che spesso prevedono un finale che si ricollega all’incipit del film.
La cinematografia di Kubrick inizia a sdoganarsi negli anni ’60 con “Spartacus” (1960), con Kirk Douglas in grande spolvero, e “Lolita” (1962), tratto dall’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov che fa riferimento al personaggio attratto da depravazione e sessualità, e “Il dottor Stranamore, ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba” (1964). Ormai è un regista affermato, ma la consacrazione definitiva avviene a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Nel 1968 esce il visionario e fantascientifico “2001 Odissea Nello Spazio” e nel 1971 “Arancia Meccanica” con cui ottiene quattro candidature ai premi Oscar e tre ai Golden Globe. In entrambe le rassegne non porta a casa nulla, però. Proprio con quest’ultima pellicola fa il grande salto, quello definitivo, nell’Olimpo dei più grandi. Raramente si è visto un film capace di influenzare cinema, teatro, letteratura, costumi e altro ancora come la pellicola ispirata all’omonimo libro di Anthony Burgess nel 1962.
Da quel momento in avanti Kubrick gira quattro altri film, ognuno dei quali diviene praticamente leggendario. “Barry Lyndon” (1975), “Shining” (1980), “Full Metal Jacket” (1987) e “Eyes Wide Shut” (1999), uscito a distanza di dodici anni dal precedente e, a tutti gli effetti, epitaffio dell’uomo e regista. Su ognuno di questi si potrebbero scrivere decine e decine di pagine e non sarebbe mai abbastanza. Un poker cinematografico inarrivabile, un’escalation qualitativa e identitaria inarrivabile per i più. Kubrick prende in prestito dai romanzi delle sceneggiature perfette, le rielabora, le modella, le fa sue. Stravolge dettagli e canoni, li assembla e costruisce il tutto sopra una colonna sonora perfetta, costantemente in bilico tra la musica classica e composizioni oniriche.
Impossibile descrivere Kubrick, la sua settima arte, la sua identità e personalità registica e il modo ha cambiato per sempre il cinema con poche righe e poche pagine. Sarebbe ingiusto, ingeneroso e, soprattutto, impossibile. Non basterebbero ore e ore di lettura per avere un quadro definitivo. Nel giorno della ricorrenza della sua morte abbiamo ripercorso una minima parte della sua vita e della sua carriera, perfettamente consapevoli della complessità nel descrivere l’uomo e il professionista. Da dove partire, quindi, per scoprire, riscoprire, conoscere, approfondire, Stanley Kubrick? Semplice, dai suoi film. Prendetene uno e guardatelo. Di questi tempi, forse, potremmo consigliarvi “2001 Odissea nello Spazio”.