Quindici anni senza Michael Jackson: l’autopsia, il corpo martoriato e i ritardi nella richiesta di soccorso
Sono passati quindici anni dalla morte di Michael Jackson. Le sue hit continuano a essere passate in radio senza dare segnali di usura e l’alone di mistero che ha sempre contornato la sua vita è più vivo che mai. Il Re del Pop non è mai stato un essere umano come tanti, diciamoci la verità. Cresciuto sotto ai riflettori, arrivato rapidamente al successo planetario, creatore di stili e trend, il nativo di Gary ha segnato per sempre la storia della musica. Badate bene, non solo quella pop.
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Tra tour leggendari e ville inimmaginabili, tra accuse e processi, Jacko ha vissuto la propria esistenza sempre al limite. In molti supponevano che non sarebbe vissuto a lungo, logorato da psicosi, scandali, disturbi e patologie di vario tipo. Cosa accadde realmente quel 25 giugno del 2009 resta ancora, per certi versi, indecifrabile.
L’autore di “Bad” e “Thriller” rincasò il 24 giugno verso mezzanotte dopo aver provato in studio “Thriller” e “Earth Song“. Si preparava alle date estive e agli appuntamenti di Londra. Conrad Murray, suo medico personale, lo seguì per somministrargli dei farmaci in quanto Jackson non riusciva a dormire. Erano le 10:40 del 25 giugno 2009 quando Murray mise la maschera dell’ossigeno a Jackson e poi gli iniettò, in via endovenosa, il Propofol.
Jacko smise di respirare. A nulla valse il massaggio cardiaco di Murray (anche perché sul letto, quindi su una superficie morbida). Il medico chiamò l’ambulanza quasi un’ora dopo, con colpevole, colpevolissimo ritardo. All’arrivo dei sanitari non c’era più nulla da fare, però. Il Re del Pop era deceduto.
Il certificato di morte riporta: “arresto cardiaco determinato da un’intossicazione acuta di Propofol“. Quest’ultimo è un potente farmaco anestetico (usato all’occasione come antidolorifico) da somministrare per via endovenosa. Questa la versione ufficiale. Ma qualcosa destò subito l’attenzione di chi accorse al capezzale di Jackson, medici, infermieri o figure a lui vicine. Il corpo era pieno di tagli, ecchimosi, piaghe. Condizioni che spinsero a ulteriori indagini e approfondimenti e che portarono alla condanna per omicidio di Conrad Murrey, il suo medico personale, reo di aver somministrato la dose letale. Questi si è sempre ritenuto innocente, adducendo al cantante la volontà di ricevere la dose di Propofol. Ovviamente la controprova non l’avremo mai.
L’accusa per Murray fu di omicidio colposo. “Murray non solo non si è assunto nessuna responsabilità sulla morte di Jackson, non ha mai dimostrato nessun pentimento per una pratica quanto meno discutibile, ma anzi è arrivato ad accusare lo stesso cantante di essere il responsabile della sua stessa morte“, scrisse il giudice Michael E. Pastor nella sua sentenza.
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L’insonnia, gli attacchi di panico, i dolori perenni (inevitabili conseguenze dei numerosi interventi chirurgici) lo spingevano a un uso costante ed eccessivo di sedativi e antidolorifici. I risultati dei controlli medici postumi alla morte furono in parte sconvolgenti. Ovunque, lungo il suo corpo, erano presenti segni di punture da ago, ematomi che li testimoniavano, ferite, croste e tagli, come quello riscontrato sulla schiena. Altro particolare rilevante: labbra, sopracciglia e parte della cute dei capelli erano tatuati, forse per rimediare a una bruciatura occorsa durante uno show di diversi mesi prima.
Orlando Martinez, Dan Myers e Scott Smith furono i tre detective della polizia di Los Angeles che per primi entrarono nella stanza dopo la chiamata ai soccorsi. Questa la loro testimonianza:
“La stanza era piena di medicinali e attrezzatura sanitaria. Ma non solo, erano presenti anche un computer sul suo letto, una bambola molto realistica e anche una specie di pubblicità con foto di bambini. C’erano anche dei post-it, o pezzi di carta attaccati in tutta la stanza e specchi e porte con piccoli slogan o frasi. Non so se fossero testi o pensieri, alcuni di loro sembravano poesie, la camera da letto era… era un casino. La stanza in cui veniva trattato, non sembrava una stanza adatta a nessun tipo di trattamento medico“.
Se l’autopsia ha chiarito in parte il destino cui era andato incontro Michael Jackson, molto altro è rimasto fuori dalle spiegazioni ufficiali. Ci riferiamo, ovviamente, al corpo martoriato del cantante e ballerino, in parte come inevitabile conseguenza dei trattamenti medico-chirurgici, in parte devastato da una carriera logorante e usurante dal punto di vista fisico.
La figura di Michael Jackson è sempre stata avvolta nel mistero: dal cambio di colore della sua pelle e della sua fisionomia ai presunti abusi su minori, dalle stanze segrete di Neverland e, infine, alla morte. Aveva cinquant’anni quando è morto. C’è da scommettersi che non tutti furono all’insegna della felicità.
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