Giorgio Montanini: “Con ‘I Predatori’ ho imparato la disciplina ferrea del cinema”
C’è grande attesa per l’uscita de “I Predatori”, l’esordio alla regia di Pietro Castellitto nelle sale dal 22 ottobre. Come nel recente “The king of Staten Island” di Jude Apatow, dove figuravano nel cast due comici di rilievo come Bill Burr e Pete Davidson, anche ne “I Predatori” – premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura a Venezia – c’è una bella, e anomala per il nostro cinema, presenza di comici di livello, a partire da Giorgio Montanini (Nemico Pubblico, Nemo, Comedy Central) che riveste un ruolo da protagonista, ma anche Dario Cassini (Zelig, Colorado), al fianco di Massimo Popolizio, Manuela Mandracchia, Nando Paone e tanti altri. Giorgio Montanini ci ha raccontato com’è stato vestire i panni del protagonista, ma anche l’approdo al cinema dopo il teatro e il senso stesso del fare comicità, in Italia.
1. Questo è il suo primo ruolo importante al cinema, da protagonista. Cos’ha pensato quando ha letto la sceneggiatura?
In realtà prima ancora di leggere la sceneggiatura ho sentito il bisogno di fermarmi e pensare.
Un ruolo da protagonista al cinema esige una riflessione, un confronto allo specchio. Quando ho pensato di poter essere in grado (sostenuto dalla fiducia di Pietro Castellitto), ho letto la sceneggiatura…e l’incertezza è diventata subito entusiasmo.
2. Nel film c’è uno scontro quasi essenziale per il cinema italiano, tra una famiglia di borgata, fascista e la realtà borghese dei radical chic. Com’è stato lavorare su questa rivalità, confrontandosi con attori di alto calibro?
Gli attori di alto calibro ispirano sicurezza per un debuttante, ti affidi alla loro esperienza e ne trai beneficio. Devo dire che il cast era composto da eccellenti professionisti a prescindere dalla notorietà, anche gli attori con meno popolarità si sono rivelati interpreti fantastici. Per quanto riguarda la rivalità cui fa riferimento la domanda, in realtà non era diretta e forse nemmeno percepita dai protagonisti. Credo che l’asfissiante esplicitazione dell’essere fascisti ad esempio, non nasca proprio da una consapevolezza politica stratificata e solida, sono più semplicemente segni identificativi. Quei simboli permettono a chi non è nessuno, di far parte di qualcosa. Senza quei marchi non esistono. Stessa cosa per la gabbia borghese che imprigiona l’essere umano e lo costringe ai vezzi.
3. Secondo Lei esiste davvero questa dicotomia così netta tra le borgate più vicine ai fascisti e le famiglie borghesi o è solo un espediente che funziona bene al cinema?
La dicotomia esiste anche nella realtà. La cosa buffa è che non è una vera e propria divisione in classi, è molto più vicino ad un gioco di ruolo. La borghesia oggi fa ridere ed è vittima del sistema capitalista tanto quanto la gente di borgata. Per ridursi al ruolo di schiavi, pretendono solo un prezzo un po’ più alto. Questo sistema ha annullato le differenze tra classi e restano solo due categorie: i ricchi e tutti gli altri. Infatti nel film entrambe sono vittime, entrambe sono predatrici. Nulla a che vedere con la borghesia che descriveva Marx per intenderci.
4. Ha trovato qualcosa nell’esperienza cinematografica, a livello di crescita o gratifica personale, che finora la carriera da comico non era riuscita a restituirle?
Premetto che ho poca simpatia per gli artisti che con disinvoltura (e privi di umiltà)
invadono diversi campi non pertinenti la loro arte. Per il rispetto che devo al cinema, da comico, non mi propongo per provini o ruoli cinematografici. Nel caso in cui qualcuno ritenesse valido il mio contributo anche in questo ambito, mi chiama e io onorato della considerazione mi metto a disposizione. Così è accaduto con Pietro Castellitto. Devo questo ruolo alla sua sensibilità e intuizione. L’esperienza che ne è conseguita è stata fantastica per me. Ho vissuto un mondo diametralmente opposto al mio, ho imparato ad avere una disciplina ferrea sempre e solo al servizio del progetto. Ho perso la mia individualità di comico, ho acquisito la capacità di lavorare insieme. Un’esperienza formativa davvero preziosa. Dal punto di vista personale mi sono sentito molto gratificato. Quando il mondo del cinema ti sdogana in questo modo, la tv diventa una specie di Serie B. Mi sono sentito come il cafone che entra nel golf club.
5. In Italia si vedono pochi comici fare il salto dal palco al grande schermo, come invece succede altrove – in Inghilterra, per esempio. Qual è il nostro handicap?
In tutti gli altri paesi del mondo, il comico è considerato un artista tra i più nobili. Si riconosce al comico la grande sensibilità e capacità di renderla fruibile sul palco. Tutti i paesi del mondo sanno che un comico è anche un attore. Sempre. Un attore non è detto che sia anche un comico. Questo rispetto nei confronti della comicità negli altri paesi, rende fisiologico il passaggio da palco a set cinematografico. Negli ultimi 30 anni, in Italia, la comicità è stata relegata a forma di intrattenimento, animazione da villaggio turistico. Quello che è successo con I Predatori è un fantastico cambio di rotta. Un’inversione di tendenza. Una nuova corrente culturale e artistica sta per inondare il nostro paese. Nella comicità è già arrivata da qualche anno, il cinema seguirà a breve.
6. In ultima battuta, cosa dobbiamo aspettarci da “I Predatori”?
Da I Predatori dobbiamo aspettarci la scintilla di questo cambiamento. Sono entusiasta di farne parte. Mi sento di poter dire che è un film italiano e del cinema italiano. Il nostro cinema. Non aggiungo altro altrimenti me pijano per megalomane. Sono davvero felice onorato e fortunato nell’aver avuto la possibilità di lavorare con Pietro Castellitto. Da I Predatori dovete aspettarvi la suggestione e la consapevolezza di un artista fuori dal comune. Pietro è senza ombra di dubbio un fuoriclasse. L’uscita de I Predatori servirà a spostare l’attenzione morbosa che la gente nutre per il suo cognome, verso la qualità del suo lavoro.