Greta Panettieri, la bambina hippy che si innamorò del jazz
Intervista a cura di Danilo Bazzucchi
Nata a Roma, trascorre l’infanzia e l’adolescenza in Umbria, tra Assisi e Perugia. Cresciuta artisticamente a New York, musicista, cantante, compositrice e autrice di testi. Artista singolare, eclettica, dalla personalità unica con incredibili doti vocali, capace di spaziare tra i più diversi generi musicali. Dice di lei Terri Lyne Carrington, cantautrice, compositrice e batterista americana, vincitrice di tre Grammy Awards:” È capace di trasformare qualsiasi melodia in un’affermazione personale”.
Ha alle spalle tournée in varie parti del mondo, tra cui una in Russia (la terza in questo paese) nell’ottobre 2019. Varie edizioni dei “Jazzit Awards” la consacrano come una delle migliori cantanti Jazz italiane, i suoi brani originali esprimono con sapienza il suo amore anche per il rock, il free, il pop, l’elettronica, la musica popolare brasiliana e la musica d’autore italiana. E’ in assoluto una delle più brave cantanti Jazz e delle voci più affascinanti del panorama musicale italiano ed internazionale.
Ciao Greta, vorrei iniziare parlando dalla tua un’infanzia che è stata un po’ fuori dal comune. Praticamente sei cresciuta in una comunità hippy, ci vuoi raccontare un po’ di questa tua vita, innanzitutto se è vero, e poi se e quanto può aver influito nel tuo percorso di artista.
Io sono nata a Roma, ma prima che nascessi i miei genitori e mia sorella si erano trasferiti in una comune tra Assisi e Nocera Umbra, composta per lo più da ragazzi romani, con qualche incursione di milanesi. Insomma, ragazzi di città che si volevano cimentare in una vita diversa; infatti, oltre a risistemare due casali lasciati dai contadini, il gruppo rimise in attività dei terreni di montagna ormai abbandonati. Io e mia sorella siamo così cresciute in mezzo a gente che, oltre a lavorare la terra, ascoltava continuamente ottima musica e spesso si suonava; avevamo amici che viaggiavano per il mondo ed ero sempre affascinata dai tanti racconti…
Hai iniziato studiando musica classica (il violino), poi anche il pianoforte, scoprendo il canto e il jazz, dopodiché, grazie a una borsa di studio, saresti dovuta andare alla prestigiosa Berklee school di Boston, solo che invece ti sei fermata a New York, e ci sei rimasta per molto tempo. Ovviamente ho sintetizzato, ci vuoi raccontare un po’ tutta la storia?
Ho iniziato a studiare musica già alle elementari, mi accompagnavano a scuola la mattina ad Assisi e il pomeriggio prendevo lezioni di violino e solfeggio. Poi crescendo sono cambiate le esigenze di famiglia così all’età di undici anni ci siamo trasferiti a Perugia, dove mi sono iscritta al conservatorio; era una dimensione che adoravo, con il tempo ero sempre più attratta dal pianoforte che dal violino così decisi di iscrivermi anche a un corso privato di pianoforte jazz finché il mio insegnante, sentendomi cantare, mi ha detto: facciamo che il pianoforte lo suono io e tu canti. Da allora non ho più smesso: ho iniziato ad andare a lezione di canto jazz a Roma e subito dopo la maturità ho frequentato le clinics di Umbria Jazz, e ho vinto una borsa di studio per la Berklee School, una delle più importanti università di musica. Era il 2000, sarei dovuta andare a Boston, invece mi sono ‘paracadutata’ su New York dove sono rimasta quasi undici anni.
Come è stato l’impatto con la realtà americana ed in particolare di New York, città sicuramente molto bella ma di certo non facile, tu sei riuscita anche a farti fare un contratto dalla Decca/ Universal che, per chi non lo sapesse, è una società discografica americana molto importante a livello mondiale.
New York è sicuramente una città molto dura, ma anche molto generosa dove ho avuto modo di confrontarmi senza pregiudizi con musicisti anche di altissimo livello; lo stesso vale per il business, se penso che ho ottenuto il contratto con la Decca con un’audizione mi sembra impossibile, e il percorso ha portato alla pubblicazione del il mio primo album: “The Edge of Everything” (2010) realizzato insieme alla mia band di allora: Greta’s Bakery; è stata un’esperienza indimenticabile e molto formativa. A questo album partecipò anche Diane Warren che scrisse per noi un pezzo: “Useless”. Ricordo il suo entusiasmo per la nostra interpretazione del suo brano; è molto emozionante confrontarsi con compositori così importanti. L’esperienza con la Major è stata sicuramente molto intensa, ma se da un lato mi ha insegnato molto dall’altro mi ha anche condizionato e limitato nelle scelte, così dopo varie vicissitudini sono tornata ad essere un’artista indipendente. Nel 2011 ho registrato un album live a “ZincBar”(storico club del west village), con una strepitosa band composta da musicisti brasiliani con cui collaboravo stabilmente: il pianista Cidinho Teixeira, il bassista Itaiguara Brandao e il batterista Mauricio Zottarelli; con questi ultimi ho mantenuto i contatti e insieme abbiamo accompagnato il grande Toquinho nei suoi recenti tour italiani. Tornando a Zinc Bar e all’album uscì con il titolo “Brazilian Nights” (Greta’s Bakery Music). Poi la decisione di ritornare in Italia.
Come ti sei trovata nell’ambiente musicale italiano o meglio ti sei trovata subito perché già conoscevi persone o colleghi, oppure hai dovuto, diciamo così, ricominciare dall’inizio.
Il primo anno è stato di rodaggio perché l’ho vissuto praticamente fra due mondi e la cosa non è stata semplice. Ovviamente tornare a casa con buon bagaglio di esperienze, tra tour e dischi internazionali mi ha facilitato l’ingresso nel mondo musicale italiano. Aver conosciuto Gegè Telesforo è stata sicuramente la chiave che mi ha permesso di partire con il piede giusto. Con lui ho iniziato a collaborare da subito, scrivendo testi per i suoi brani e accompagnandolo in tour. Poi c’è stata la televisione (su la 7 all’Aria che Tira), la radio con Luca Barbarossa su Radio2 Social Club e tanti concerti in giro per il mondo (America, Russia, Cina, Europa…)
Ad ottobre 2019 hai fatto la tua terza tourneè in Russia, ci puoi parlare del successo che hai sempre avuto in questa nazione e in particolare dal tipo di accoglienza dei tuoi fans russi? – A fine anno hai partecipato a Umbria Jazz Winter ad Orvieto (con 8 concerti), a Pasqua dovevi essere a Umbria jazz edizione di Terni, poi cancellata per via del Covid. Venerdi 7 agosto hai aperto Jazz in august (edizione ridotta di Umbria jazz) a Perugia. Quale il rapporto con questa manifestazione e con la città, considerando che hai studiato per parecchi anni al conservatorio Morlacchi a Perugia.
In Russia mi sono sempre trovata benissimo, la cosa che mi ha fatto più impressione è l’ampiezza dei teatri dove mi sono esibita, lì sono tutti grandissimi e, per fortuna, sempre pieni. Il pubblico è molto caloroso e attento, il mio agente russo è già impaziente di organizzare la prossima tournée, visto che quest’anno è saltato tutto causa Covid.
Per quanto riguarda Umbria Jazz a fine anno ad Orvieto è stato fantastico; abbiamo fatto 2 concerti al giorno sempre sold out. Come hai detto tu, dovevamo tornare per l’edizione primaverile, ma la pandemia ha interrotto tutto per molti mesi. Sono stata più volte al festival e lo conosco bene, anche perché ho vissuto a lungo a Perugia, ma non ho mai dato per scontato che saremmo stati coinvolti ancora e quando Carlo Pagnotta (fondatore e direttore artistico) mi ha chiamato per “Jazz in August” sono stata felicissima. Cantare per la serata inaugurale è stata una grande emozione. Ho un forte legame con Perugia, perché come ti dicevo lì ho vissuto la mia adolescenza, infatti parte della mia band è composta da musicisti legati a questa città, come il bassista perugino Daniele Mencarelli, con cui suono da quando eravamo ragazzi e il batterista Alessandro Paternesi che, pur essendo marchigiano, ho conosciuto a Perugia.
Della tua vita è stata fatta una storia a fumetti: Viaggio in jazz (Edizioni Corsare), come è nata questa idea, direi abbastanza singolare? – Hai fatto tantissime collaborazioni con artisti molto bravi e famosi e qualcuno anche prestigioso, ne dico uno su tutti Toquinho; con quale hai legato di più o ti sei trovata meglio nel lavoro?
L’idea è nata in ambito familiare, dove mi ripetevano spesso che, con la vita che avevo fatto così piena di esperienze e di avventure, avrei potuto fare un libro. Così è nata la Graphic Novel “Viaggio in Jazz”, che è stata oggetto di molti incontri nelle scuole e di una mostra al Medimex di Bari. Per quanto riguarda gli incontri e le collaborazioni posso dirti che sono stata anche fortunata, in America le ho avute con artisti come Larry Williams, Diane Warren, Curtis King, Terri Lynn Carrington, Mitch Forman, Robert Irvin III, Toninho Horta, mentre in Italia con Sergio Cammariere, Gegè Telesforo, Fabrizio Bosso, Claudio Gregori, Ainè, La New Talent Jazz Orchestra, la Perugia Jazz Orchestra e il grandissimo Toquinho con cui ho fatto dei tour. Con tutti mi sono trovata bene, ma se devo sceglierne uno dico senza dubbio Toquinho, per me un mito, artista straordinario, umile e generoso.
Quali novità e progetti ci sono per il futuro, oltre ricominciare a tempo pieno con i concerti e soprattutto: hai un sogno che vorresti che si realizzasse?
Intanto spero che finisca presto la pandemia e che tutto possa tornare come prima, anzi meglio di prima, poi un nuovo disco nel prossimo anno. Un sogno? Beh in parte si è già avverato, quello di poter continuare a fare questo lavoro e questa vita meravigliosa, fatta di concerti, viaggi, incontri, forti emozioni, soddisfazioni, gioie e perché no, qualche delusione. Insomma la mia vita.