Intervista. Steve Sylvester (Death SS) tra ricordi e un nuovo album da presentare

Autentica leggenda del metal tricolore e fonte di ispirazione per un’infinità di band in giro per il mondo, Steve Sylvester si appresta ad arricchire la preziosa discografia della sua creatura prediletta, i Death SS, con quella che si preannuncia una nuova “perla”: il prossimo maggio, infatti, verrà pubblicato “The Entity” (Lucifer Rising/Self Distribuzione), un concept album dedicato al concetto di “doppio”. Anticipato dai quattro 12” pollici usciti in questi ultimi mesi a cavallo tra il 2024 e i 2025, che già sembrano suggerirci un lavoro molto variegato e ricco di sfumature, il disco ci riconsegnerà con ogni probabilità una band la cui ispirazione non solo non sembra venir meno con il passare degli anni, ma anzi si dimostra infallibilmente in grado di arricchire la propria vena compositiva.
Ne abbiamo parlato direttamente con il “Negromante del Rock” pochi giorni dopo l’uscita di “Love until death”, una potente, oscura ballata dedicata al tormentato amore tra Dr Jekyll e la sua giovane governante, Mary Really, ispirata al racconto di Valerie Martin “Mary Really, la governante de Dr Jackyll”.
Ci siamo quasi: da pochi giorni è fuori “Love until death”, il quarto e ultimo 12’’che precede l’uscita a maggio del nuovo album “The Entity”. Da quello che abbiamo sentito fino ad ora, la vostra consolidata e variegata ricerca stilistica non sembra aver subito battute d’arresto. Ci puoi raccontare in che modo sono nate le nuove composizioni e, soprattutto, come riuscite, da quasi mezzo secolo, a non scadere mai in una “comoda formula”? Quanto influiscono in questo senso i continui cambi di line up che vi contraddistinguono ormai da così tanto tempo?
L’idea di base attorno al concept di “The Entity” mi venne diversi anni fa, parlando con il mio amico James Hogg. James è l’ultimo discendente dell’omonimo scrittore scozzese che nel 1824 scrisse il romanzo “The Private Memoirs and Confessions of a Justified Sinner”, una magistrale satira gotica sui paradossi della fede e sul tema della duplicità dell’animo umano. Il libro era di per sé intrigante e secondo me si prestava bene ad una interpretazione in chiave rock.
Iniziai quindi a lavorarci sopra, costruendo dei bozzetti di testi e melodie con l’intento di ricavarci qualcosa in futuro, magari un musical. Lo scorso anno ho ripreso in mano il progetto dal cassetto in cui l’avevo riposto e l’ho arricchito con nuovi spunti ed influenze, collegandolo infine alla figura dell’“Entità”, da sempre fulcro artistico ed identificativo della band. Non ho mai seguito una “comoda formula”, hai ragione, cerco sempre di non ripetere quanto già proposto in passato ma di far evolvere di volta in volta quello che è lo stile della band verso nuove soluzioni stilistiche.
È un processo creativo naturale ed istintivo, che non segue alcuna regola e che non viene influenzato da eventuali cambi di line-up. Sono sempre io da solo che decido l’orientamento artistico delle nuove composizioni anche se i musicisti della band che suona con me hanno ovviamente carta bianca per quanto riguarda gli arrangiamenti degli strumenti di loro competenza.
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Come avete annunciato già da diverso tempo, la vostra ultima fatica è un concept album imperniato sul concetto di “doppio”, che avete, hai sviscerato servendoti di numerosi riferimenti letterari. Anche se è un tema che in qualche modo ha già avuto una certa importanza nella vostra produzione precedente, cosa ti ha spinto stavolta a concedergli una centralità così assoluta? E come è cambiato il tuo modo di tornarci su con il passare del tempo e con le trasformazioni sociali e tecnologiche (penso soprattutto all’avvento dei social e delle “identità digitali”) in atto soprattutto in questi ultimi (almeno) 25 anni?
Possiamo sicuramente dire che i Death SS abbiano sempre parlato della “parte oscura” dell’animo umano in tutte le sue molteplici sfaccettature, focalizzando la propria produzione artistica su ogni forma di “horror”, da quello mutuato dai romanzi e dalla letteratura gotica a quello ispirato all’iconografia cinematografica di genere e dai fumetti. Tuttavia il “male” ha mille volti e lo si può trovare ovunque, anche e soprattutto nella quotidianità che viviamo.
La sfida che il “male” rappresenta, per la ragione e per la scienza, ha portato a vari approcci interpretativi, attribuendo la sua origine a numerosi e vari elementi come la volontà divina, i sentimenti, la struttura dell’universo, la libertà individuale, la ragione, la cultura, l’evoluzione biologica e tecnologica, l’architettura stessa del cervello umano… Di conseguenza il modo di concepirlo varia sempre nel tempo e da individuo a individuo. Direi che“The Entity” rappresenta la mia visione artistica personale ed attuale di questo argomento.
In fase di produzione del disco avete avuto la possibilità di lavorare con un grande nome della scena internazionale quale Tom Dalgety. Che tipo di esperienza è stata? E cosa ha aggiunto con il suo “tocco” al suono dei Death SS? Ah, già che ci siamo: possiamo avere una tua impressione da veterano sull’evidente processo di standardizzazione sonora che stanno subendo ormai da tempo la maggior parte dei lavori rock e metal che capita di sentire ultimamente?
Tom Dalgety è un grande professionista, attualmente uno dei top produttori metal mondiali. Ci sono entrato in contatto tramite la manager di Tobias Forge e ho pensato a lui dopo aver ascoltato alcuni suoi lavori per band come appunto i Ghost ma anche come i Rammstein e i The Cult. Cercavo un sound moderno, potente ma anche “classico” e pulito per questo disco, e lui si è rivelato la persona giusta. Tom ha ascoltato le demos che avevo preparato per i brani e mi ha dispensato importanti consigli per poi provvedere al mix di tutto il progetto. Siamo rimasti sempre in stretto contatto durante questa fase di produzione e il suo apporto si è rivelato decisivo per il raggiungimento del risultato finale che potete ascoltare oggi. Lavorare con lui è stato facile e piacevole perché ci siamo intesi subito e abbiamo seguito sempre le stesse coordinate. Non so dirti del processo di standardizzazione di cui parli perché non seguo molto il mercato rock e metal attuale, ma ascolto, a seconda dell’umore e delle circostanze, ogni genere di musica, specialmente quella più “datata”.
Togliamoci subito un “peso” che accomuna tutti noi fan della band: un album ambizioso come sembra profilarsi “The Entity” vi spingerà stavolta ad intraprendere un tour di supporto con più date? E, se sì, hai già pensato ad un concept visivo/spettacolare che riesca a rendere al meglio quello di cui parli nelle tue liriche e che comunicate attraverso la vostra musica?
Da anni ormai abbiamo preso la decisione di non intraprendere più veri e propri tour ma piuttosto di limitarci a partecipare a eventi particolari e a organizzare concerti mirati. Ogni uscita live dei Death SS deve essere a suo modo un happening nel quale cerchiamo di esprimerci al 100% con la nostra consueta teatralità. Ovviamente faremo qualcosa anche a supporto di “The Entity” e qualche data è stata già fissata (il 7 novembre alla Hall di Padova e l’8 novembre al Phenomenon di Fontaneto D’Agogna (NO), ndr).
Per il momento però preferisco vedere cosa succederà e vagliare le eventuali proposte piuttosto che impegnarmi troppo in questo senso. Ogni canzone in scaletta sarà in qualche modo rappresentata anche visivamente con proiezioni e performances, come abbiamo sempre fatto. Ovviamente non potremo riproporre “The Entity” per intero ma anche questo ultimo lavoro avrà un suo spazio nei prossimi shows, puoi starne certo.
Immagino che avrai sicuramente letto del concerto di addio dei Black Sabbath a Birmingham del 5 luglio e del bill mostruoso che prevede. Che ne pensi di questo evento in apparenza senza paragoni nella storia del metal e non solo? Più in generale, qual è la tua opinione su questi raduni così “giganti” che sembrano ormai proliferare sempre di più? Favorevole o contrario? Ah, anche una curiosità tangente: quale tra le tante gemme dei Sabbath avresti voluto scrivere tu?
Beh, i grandi festival e i raduni rock sono sempre esistiti e hanno sempre costituito la linfa vitale del settore, il momento di aggregazione per eccellenza per tutti i fans del genere. Non vedo quindi cosa ci sia di male se non forse il fatto di non potersi godere al meglio i propri beniamini come potresti invece fare se si trovassero all’interno di un piccolo club. Ma questo fa parte del gioco. I raduni “giganti” servono anche come punto d’incontro tra generazioni e pubblico di paesi diversi.
Ho avuto il piacere di vedere i Black Sabbath più volte e in un paio di occasioni ho anche condiviso il palco con loro. Sono sempre stato un loro fan e assieme a Tony Dolan, Mantas e Snowy Shaw ho inciso anche una loro cover per un tribute album, “Sabbath Bloody Sabbath”, forse la loro canzone che amo di più e che sicuramente mi sarebbe piaciuto aver scritto.
Nel corso della tua lunga carriera hai avuto modo non solo di crearti una fan base italiana e internazionale affezionatissima, ma anche di avere un punto d’osservazione privilegiato sui cambiamenti che sono intervenuti sul tuo pubblico. Chi è oggi il sostenitore dei Death SS che riconosci come più prossimo alla tua, alla vostra sensibilità primigenia? E in che modo, nel 2025, un ragazzino dovrebbe avvicinarsi alla vostra musica sperando di poterne derivare quelle magiche emozioni che accomunano tutti noi sostenitori di lungo corso?
Ho iniziato nel 1977, è un’infinità di tempo anche se per me è volato e a volte non me ne rendo conto. Non sono mai stato uno che “se la tira” e ho sempre guardato ai miei fans come ad un gruppo di amici, e alcuni di loro nel tempo lo sono diventati veramente. Non credo esista un pubblico “tipo” dei Death SS. Io ho sempre fatto quello che faccio principalmente per me stesso, per soddisfare un’esigenza artistica personale che è in continua evoluzione.
Il vero fan dei Death SS è quindi colui che riesce ad entrare in sintonia con questa esigenza, sentendosene in qualche modo rappresentato. Il messaggio che vogliamo da sempre portare avanti, al di là dello spettacolo “Shock Rock” al quale diamo vita, è un messaggio catartico, di liberazione da dogmi e restrizioni. Ovviamente c’è anche molta ironia nelle rappresentazioni sceniche che mettiamo in piedi perché si tratta comunque di intrattenimento, non mi sono mai visto come un “santone” o un “guru spirituale”. Penso che oggi come quarant’anni e passa fa, un sostenitore dei Death SS debba avvicinarsi alla nostra musica e alla nostra “messa in scena” con la semplice volontà di assistere ad un buono spettacolo con della buona musica, divertendosi per un paio d’ore insieme a noi. Se poi qualcuno vuole cercare qualcosa di più intimo, delle “magiche emozioni”, può farlo, analizzando più profondamente quello che è celato “dietro le righe” di quello che vede e di quello che sente
Ultima domanda: lo scorso anno, dopo un certo periodo di difficile reperibilità, è stata ristampata la tua biografia scritta in collaborazione con Gianni Della Cioppa e pubblicata nel 2011. Hai mai pensato di tornare a fare un’incursione nel mondo della carta e dell’inchiostro, magari cimentandoti nella narrativa o in un qualche ambito di saggistica? Parlaci dei tuoi rapporti con i libri che, come dimostra “The Entity”, ha una sua decisiva importanza per i Death SS.
Sono sempre stato un vorace consumatore e collezionista di carta stampata, sia di fumetti che di libri. Ovviamente le mie preferenze sono sempre state rivolte verso quelli che trattano tematiche occulte o orrorifiche. Non ho mai pensato di cimentarmi nella narrativa anche se nel corso degli anni mi è capitato di scrivere un po’ di tutto, dalle sceneggiature di film a tante prefazioni o postfazioni di libri di altri autori. In tempi abbastanza recenti ho però scritto tutti i volumi di “Immaginario Sexy” dell’editore Mencaroni, una sorta di dettagliata saggistica sul mondo dei fumetti “per adulti” pubblicati in Italia dalla fine degli anni ’60 del Novecento al Duemila.