I cinquant’anni di “Profondo Rosso”: 10 curiosità sul capolavoro di Dario Argento

Cinquant’anni fa, nel marzo 1975, “Profondo Rosso” sconvolgeva le sale cinematografiche, destinato a rivoluzionare il thriller all’italiana e a lasciare un segno indelebile nella storia del cinema.
Con la sua regia visionaria, l’intreccio magistrale tra horror e mistero, e una colonna sonora diventata leggenda, il capolavoro di Dario Argento è ancora oggi un punto di riferimento per cineasti e appassionati del genere. Ma cosa rende questo film un cult intramontabile? Quali segreti e curiosità si celano dietro questa pellicola iconica? Scopriamolo insieme.
La trama: un incubo a tinte forti
La vicenda ruota attorno all’omicidio della medium tedesca Helga Ulmann (Macha Méril), assassinata brutalmente nel suo appartamento a Roma da un individuo mascherato, dopo che la sensitiva ha percepito la presenza di un assassino tra il pubblico durante una conferenza.
Il testimone principale è Marcus Daly (David Hemmings), pianista jazz, che inizia a indagare con l’aiuto della giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi). Ma più il protagonista si avvicina alla verità, più le persone coinvolte nella vicenda vengono eliminate.
Tra colpi di scena, sogni disturbanti e dettagli nascosti in bella vista, la storia conduce lo spettatore in un viaggio inquietante che sfida costantemente la percezione della realtà.
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Le 10 curiosità su “Profondo Rosso“
1. Il mistero di Torino: una città da incubo
Nonostante “Profondo Rosso” sia ambientato a Roma, Argento scelse di girare la maggior parte delle scene in esterno a Torino perché la città lo aveva sempre affascinato con la sua atmosfera esoterica. Definita dal regista
il luogo dove gli incubi stanno meglio
Torino è da sempre legata a leggende sulla magia nera e bianca. Durante le riprese, l’atmosfera si rivelò così suggestiva da spingere alcuni membri della troupe a raccontare episodi inquietanti avvenuti sul set, contribuendo a rafforzare il mito che circonda il film.
2. Il rosso come firma indelebile
Il colore rosso non è solo un espediente estetico, ma un vero e proprio codice visivo che guida la narrazione: è il colore del pericolo, della violenza, ma anche dell’ossessione. Dario Argento lo utilizza come filo conduttore, facendolo emergere nelle scenografie, nei dettagli degli oggetti e persino nei costumi, al punto da inserirlo nel titolo. Scelta più che fortunata, possiamo dire a cinquant’anni dall’uscita del film.
Il titolo originario, “La tigre dai denti a sciabola“, avrebbe mantenuto la tradizione della trilogia degli animali (“L’uccello dalle piume di cristallo“, “Il gatto a nove code” e “4 mosche di velluto grigio“), ma il regista optò per un titolo più evocativo, che catturasse l’essenza cromatica del film.
3. L’assassino è sempre sotto gli occhi dello spettatore
Senza fare spoiler a quei pochi lettori che ancora non hanno visto “Profondo Rosso“, possiamo affermare che Dario Argento mette alla prova la capacità di osservazione del pubblico, giocando con la percezione e i dettagli.
Il film offre un indizio chiave già nei primi minuti, ma è talmente ben mimetizzato da passare inosservato alla maggior parte degli spettatori. Il regista si diverte a sfidare lo sguardo dello spettatore, dimostrando come la mente possa essere ingannata dalla distrazione e dalla paura. Ma soprattutto ci rivela che la verità è spesso sotto i nostri occhi, ma non siamo in grado di vederla finché non siamo davvero pronti a riconoscerla.
Rivedere “Profondo Rosso” significa notare particolari che alla prima visione erano sfuggiti, rendendo ogni nuova visione un’esperienza diversa… per poi finire inevitabilmente a saltare sulla poltrona al momento della rivelazione finale.
4. Le mani del killer
Dario Argento non si fidava di nessuno per girare le scene in cui si vedono le mani dell’assassino. Ogni volta che compaiono in primo piano, infatti, sono proprio le sue. Secondo il regista, queste inquadrature erano troppo importanti per lasciarle a un attore e voleva assicurarsi che fossero esattamente come le aveva immaginate.
5. Clara Calamai e la magia del metacinema
Clara Calamai fu scelta per interpretare Marta, la madre di Carlo, perché il suo volto evocava un senso di decadenza e malinconia: l’attrice era una celebre diva degli anni ’40, ritiratasi dalle scene anni prima.
Inoltre, in una scena chiave, Marcus osserva alcune fotografie nella sua casa: quelle immagini sono autentiche foto della Calamai ai tempi della sua giovinezza, trasformando la sequenza in un omaggio alla sua carriera e inserendo un intrigante gioco tra realtà e finzione.
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6. L’espulsione delle suore
Una delle location più suggestive di “Profondo Rosso” è Villa Scott, ex collegio gestito da suore. Per girare senza interruzioni, Argento convinse la produzione a pagare una vacanza a Rimini per suore e pazienti, garantendosi così il controllo totale della location. L’edificio, con la sua architettura inquietante, divenne uno degli scenari più iconici della pellicola.
7. Provini particolari
Daria Nicolodi, determinata a conquistare il ruolo – e poi il cuore del regista -, si presentò al provino con i capelli cosparsi di zucchero per simulare la polvere e dare un tocco vissuto al personaggio. Tuttavia, invece di impressionare Argento, ricevette un rimprovero. Nonostante l’episodio, ottenne il ruolo di Gianna Brezzi e la sua interpretazione contribuì a rendere il personaggio iconico.
Per il protagonista maschile, Argento scelse invece David Hemmings dopo averlo visto in “Blow-Up” di Antonioni: il suo volto enigmatico e il suo sguardo smarrito si adattavano perfettamente alla dimensione onirica del film.
8. Le scenografie da Hopper
Il Blue Bar, locale che appare in una scena cruciale di “Profondo Rosso“, fu costruito appositamente per il film in Piazza C.L.N. a Torino e si ispira al celebre dipinto “I nottambuli” di Edward Hopper.
L’interno del bar, con le sue luci soffuse e la disposizione degli arredi, richiama la solitudine e il senso di alienazione tipici delle opere di Hopper. Anche i colori e l’illuminazione riprendono la tavolozza cromatica del dipinto, con contrasti di luce fredda e ombre profonde che amplificano l’atmosfera surreale della scena.
Il realismo della scenografia fu tale che diversi passanti tentarono di entrarvi, convinti che fosse un vero locale.
9. La colonna sonora che cambiò la storia del cinema
Inizialmente, il regista aveva pensato ai Pink Floyd per la colonna sonora, ma la band rifiutò. Fu Daria Nicolodi a suggerire i Goblin, che realizzarono un accompagnamento musicale sperimentale e inquietante, caratterizzato da sintetizzatori e ritmi ipnotici. Il loro contributo fu così cruciale che oggi la colonna sonora di “Profondo Rosso” è considerata una delle più iconiche del cinema horror.
10. “Profondo Rosso“, un marchio registrato
Nel 2001, Dario Argento registrò ufficialmente il nome “Profondo Rosso” come marchio per proteggere l’immagine del film.
Inoltre, aprì un negozio-museo omonimo a Roma, in Via dei Gracchi, divenuto una meta di culto per gli appassionati dell’horror di tutto il mondo.
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Un’eredità indelebile
Cinquant’anni dopo la sua uscita, “Profondo Rosso non è solo un caposaldo del cinema italiano, ma un’opera che continua a ispirare registi, artisti e musicisti in tutto il mondo. La sua estetica inconfondibile, la capacità di giocare con la percezione dello spettatore e la fusione magistrale tra thriller e horror lo rendono un film senza tempo. Ancora oggi, le sue sequenze iconiche vengono analizzate, citate e celebrate, mentre la colonna sonora dei Goblin risuona nelle sale di proiezioni speciali e nei festival di cinema.
L’inquietante fascino di “Profondo Rosso” dimostra che la paura, quando è raccontata con maestria, non ha scadenza. Argento ha creato un incubo visivo che continua a vivere nell’immaginario collettivo, dimostrando che il vero orrore non sta solo nel sangue versato, ma nei dettagli nascosti, nelle ombre che sfuggono allo sguardo e nella sensazione costante che qualcosa ci stia osservando, anche quando non ce ne accorgiamo.