Recensione. “Il ragazzo del secolo: o della rivoluzione perduta”, il debutto alla narrativa di Gino Castaldo

Un romanzo che parla di un Millennio sfolgorante, fatto di rivoluzioni e conquiste ma anche di disillusioni, droghe e perdizione. Il racconto di un uomo che ha esperito a pieno a suon di musica tutte le emozioni del tempo. Gino Castaldo, amato giornalista italiano e critico musicale, con Il ragazzo del secolo, racconta la sua vita professionale e privata in chiave collettiva, disegnando i contorni di un’intera generazione. All’inizio si potrebbe pensare di star leggendo un’auto fiction ma il susseguirsi degli avvenimenti e dei racconti tratteggiano più i contorni di un’intera società.
“Ero solo, come un piccolo faro sperduto tra le onde del mare,
ma iniziavo a emettere luce, insieme a milioni di altri ragazzi soli
che stavano per scoprire di non essere più soli”
Nato nel 1950 a Napoli, a soli pochi mesi dalla sua nascita si trasferisce nella borgata di Roma chiamata Ponte Mammolo. Uno spazio di periferia in cui le persone lavorano e lottano dignitosamente per conquistare quel senso di decoro tipico di chi si sente indietro, se non ultimo.
Gino (Luigi) ricorda nel romanzo anche Pier Paolo Pasolini, all’epoca suo vicino di casa, e la sua curiosità nel conoscere il dialetto napoletano. A Roma, negli anni Sessanta, conosce la musica che arriva da Oltreoceano con i suoi messaggi di rivoluzione umana. Respira a pieno quell’aria frizzante di sviluppo, quella voglia di conquista e quel sentimento bruciante di una generazione in cerca di nuovi stimoli e nuovi traguardi.
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Questi sono gli anni delle grandi illusioni e dei grandi traguardi, si pensi al diritto all’aborto, al divorzio, alla riforma dei lavoratori. Qui non parla di favole, qui si racconta la realtà con la durezza di chi ha provato a volare ed è caduto rovinosamente a terra. Tutti i sogni, tutti gli ardori politici e la voglia di apertura intellettuale vengono, alle volte, cancellati da omicidi, violenze e silenziatori. Luigi descrive molte sue disillusioni, una tra le tante, la morte di Pasolini.
Sembrava che il vecchio mondo rispondesse con ferocia inaudita alle nostre richieste di libertà. Ma era davvero il vecchio mondo, quello? Nel nuovo non si annidava forse lo stesso germe di crudele incomprensione?
Le pagine scorrono e con esse la vita del protagonista che racconta dei suoi amori, del suo matrimonio e del mondo sbatte il muso contro le droghe e le prime delusioni. Non è un caso se si descrive la droga insinuarsi nelle vene di chi non crede ad altro se non all’utopia.
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Il romanzo funziona non tanto per il suo carattere autobiografico quanto per la sua capacità narrativa. È la narrazione del panorama musicale, giornalistico e sociale di un tempo passato che ha dato il via ad un terremoto devastante, lasciando solo le macerie di vecchi costrutti che, però, sono ancora lì, polverosi e stantii, difficili da rimuovere. Non è neanche un caso se il romanzo termina con i generosi anni Ottanta.
Allora, la rivoluzione non s’aveva da fare? Questo non si saprà mai. L’unica certezza che si ha risiede negli occhi brillanti di chi, quegli anni, li ha vissuti e li racconta con la stessa emozione di un bambino che riesce a trasmettere al cuore duro dell’adulto la stessa curiosità per le cose belle e giuste. E questa sensazione la restituisce perfettamente la penna di Gino Castaldo con Il ragazzo del secolo. Vivi, segna, conquista, rifletti, custodisci le emozioni e i preziosi insegnamenti di una generazione; perché ogni tempo ha il suo momento e il suo valore.