I 50 anni di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”: un’opera immortale che continua a volare liberamente

[di Federico Falcone – Sara Paneccasio]
Nel marzo del 1975, il cinema mondiale venne sconvolto da un capolavoro destinato a cambiare per sempre il modo di raccontare storie, di esplorare la follia, la libertà e il coraggio. “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (One Flew Over the Cuckoo’s Nest), diretto da Miloš Forman e tratto dal romanzo di Ken Kesey, celebra oggi il suo cinquantesimo anniversario.
Mezzo secolo durante il quale il film non ha mai smesso di emozionare, interrogare e ispirare generazioni di spettatori, offrendo spunti di riflessione non solo sulla follia e sulla libertà, ma anche sulle dinamiche di potere che permeano la società. Non è soltanto un’opera cinematografica, ma un inno alla forza dello spirito umano e una denuncia di un sistema che cerca di ridurre le persone a numeri e regole.
La libertà e la follia: un inno alla ribellione
Il film ci racconta la storia di Randle Patrick McMurphy, un uomo che si finge pazzo per sfuggire alla prigione e finisce in un ospedale psichiatrico, dove scopre una realtà ben più opprimente e pericolosa. Interpretato magistralmente da Jack Nicholson, McMurphy diventa simbolo di quella lotta contro le catene invisibili che imprigionano la mente e lo spirito umano. Ma non è solo il protagonista maschile a brillare: Louise Fletcher, nel ruolo della rigida e implacabile infermiera Ratched, offre una performance che rimarrà per sempre nella memoria collettiva. Il film è un’opera di contrasto, tra l’individuo e il sistema, tra la follia liberatoria e la freddezza della razionalità burocratica.
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Un protagonista consacrato al mito
Non solo ebbe un impatto emotivo straordinario, ma “Qualcuno volò sul nido del cuculo” riuscì anche nell’ardua impresa di conquistare tutti e cinque i principali premi Oscar (i cosiddetti Big Five): Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attore Protagonista (Jack Nicholson), Miglior Attrice Protagonista (Louise Fletcher) e Miglior Sceneggiatura.
Jack Nicholson, che all’epoca era già una stella di Hollywood, ha raccontato più volte che la sua interpretazione di McMurphy non fu solo una performance attoriale, ma un’esperienza totalizzante. La sua energia e la sua carica carismatica hanno contribuito a definire il personaggio, ma anche a mescolarsi con quella che era la realtà del set. L’attore ha infatti ammesso che molti dei suoi momenti più memorabili del film non erano scritti nella sceneggiatura: sono scaturiti dalla sua improvvisazione, dal suo spirito ribelle che ha dato vita a McMurphy.
Uno degli aneddoti più affascinanti e più noti riguarda la scena in cui il protagonista tenta di sollevare il lavandino per usarlo come un’arma. Quella scena, che oggi ci sembra così naturale e spontanea, fu in realtà frutto di una lunga discussione tra Nicholson e il regista Milos Forman: il lavandino doveva essere sollevato, ma durante le prove, Nicholson non riusciva a farlo. Alla fine, il regista decise di filmare il fallimento del tentativo, perché lo vedeva come un simbolo della lotta impossibile di McMurphy contro un sistema che non avrebbe mai ceduto. Il risultato è una scena che esprime perfettamente la frustrazione e l’irrazionalità della situazione.
A distanza di cinquant’anni, Jack Nicholson non ha mai smesso di essere grato a quel personaggio che lo ha reso una leggenda del cinema. In occasione di una delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario del film, l’attore ha dichiarato con il suo solito umorismo e saggezza:
“McMurphy è stato un personaggio che ho amato profondamente, perché in lui c’era una lotta che tutti noi viviamo, anche se non siamo dentro un ospedale psichiatrico. La lotta per la nostra identità, per la nostra libertà, per la nostra capacità di essere noi stessi. È un film che non ha mai smesso di parlarmi. Quando lo riguardo, ogni volta scopro qualcosa di nuovo, qualcosa che non avevo notato prima.”
Nel raccontare il personaggio, Nicholson ha avuto la fortuna di far nascere una figura che ha lasciato il segno nel cuore di ogni spettatore. La sua performance, vibrante e impetuosa, ha reso McMurphy immortale. Anche oggi, la sua risata contagiosa, le sue espressioni sfrontate, la sua lotta senza tregua contro le ingiustizie, rimangono un simbolo di ciò che significa resistere.
Il potere e la legittimazione delle istituzioni
Il film si distingue per il contrasto tra la follia liberatoria di McMurphy e la razionalità burocratica del manicomio, tra l’individuo e il sistema. Ma dietro questa lotta tra libertà e autorità, si cela un tema ancora più profondo.
Una delle chiavi di lettura che ha giustamente reso celebre “Qualcuno volò sul nido del cuculo” riguarda la riflessione sulla natura del potere, sulla sua capacità di normalizzare e sopprimere ogni forma di individualità. Il film è infatti ambientato in un ospedale psichiatrico, un microcosmo rigidamente regolato, in cui la gerarchia e la burocrazia governano ogni aspetto della vita dei pazienti.
L’infermiera Mildred Ratched (Louise Fletcher) è il volto di un’autorità che esercita il suo controllo attraverso la razionalizzazione delle regole e la paura: esercita un potere assoluto, incanalando ogni atto secondo il principio di razionalità e di “benessere” dei pazienti, pur nella sua spietatezza. In linea con la teoria di Max Weber sulla legittimazione del potere, la sua autorità si fonda su un principio razionale-legale, che giustifica ogni sua azione come funzionale alla cura.
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Tuttavia, l’arrivo di McMurphy, un uomo proveniente dal sistema carcerario che cerca di fuggire alla prigione e si trova in un ambiente ancora più oppressivo, innesca un cambiamento. Presto diventa l’elemento destabilizzante che mina l’equilibrio di potere. Il sistema, incapace di rispondere alla sua sfida se non con l’uso della forza, si trova a dover ricorrere a strumenti repressivi per ristabilire il controllo. Così non solo lui, ma anche gli altri pazienti iniziano a farsi domande sul senso di quella “cura”: sempre più consci delle storture della struttura e degli ingiusti disagi psicologici che devono giornalmente subire, destituiscono poco per volta il potere di sorveglianti e infermieri.
McMurphy diventa quindi un simbolo di resistenza contro una macchina burocratica che non mira davvero alla cura, ma al mantenimento di un ordine funzionale alla società esterna.
E adesso io sarei pazzo per loro solo perchè non sto lì come un fottuto vegetale?
La microfisica del potere e il controllo totale
L’ambientazione del film nel manicomio rappresenta un microcosmo in cui ogni aspetto della vita dei pazienti è rigidamente controllato. Un’analisi interessante di questo sistema di potere ci arriva dai lavori di Michel Foucault, in particolare dal suo libro “Sorvegliare e punire” (1975), in cui il filosofo francese analizza come le istituzioni moderne, incluse le carceri e gli ospedali psichiatrici, utilizzino tecniche di sorveglianza e disciplinamento per normalizzare e controllare i soggetti.
Foucault distingue tra forme di potere più visibili e coercitive (come la punizione fisica) e forme di potere più sottili, invisibili e diffuse, che operano tramite la sorveglianza, l’organizzazione del tempo e dello spazio, e la creazione di norme di comportamento. In “Qualcuno volò sul nido del cuculo“, vediamo come l’ospedale psichiatrico funzioni come un “microcosmo del potere“. L’intero edificio è progettato per sorvegliare i pazienti: la disposizione delle stanze, l’osservazione costante dei medici e degli infermieri, la ritualizzazione dei comportamenti quotidiani sono tutte forme di controllo che, in apparenza, hanno l’obiettivo di “curare” i pazienti, ma che in realtà tendono a normalizzare il loro comportamento.
Secondo Foucault, le istituzioni moderne (come prigioni, ospedali psichiatrici e talune scuole) sono state sviluppate per implementare una “microfisica del potere“. In altre parole, si tratta di luoghi in cui il potere non si esercita solo sulla base di forme evidenti di coercizione, ma anche tramite il controllo quotidiano di corpi e menti.
In “Sorvegliare e punire“, si esplora la transizione da un sistema di potere basato sulla punizione fisica (come le torture pubbliche) a un sistema in cui il potere si esercita attraverso la sorveglianza e il disciplinamento. Questo è perfettamente esemplificato dal manicomio nel film: piuttosto che punire fisicamente i pazienti, il sistema li osserva continuamente, li etichetta come “pazzi” e li sottomette a pratiche di “cura” che in realtà sono destinate a reprimere ogni forma di individualità e a rinforzare il controllo sociale. Il manicomio, come la prigione, è un luogo dove l’individuo perde ogni forma di autonomia e diventa una parte di un ingranaggio che non si ferma mai.
Per Foucault, gli ospedali psichiatrici sono dunque una delle istituzioni che, più di altre, riflettono un cambiamento nelle modalità di esercizio del potere. L’inclusione della follia nel novero delle malattie psichiche e la nascita di una psicologia scientifica servono a legittimare un intervento sempre più invasivo sulle persone, non solo per “curarle”, ma per renderle conformi ai modelli di comportamento imposti dalla società. Un concetto che nel film è incarnato dalla figura dell’infermiera Ratched, che applica la sua autorità con una calma inquietante, cercando di “correggere” i pazienti come se fossero semplicemente degli ingranaggi difettosi da ripristinare nel meccanismo dell’ospedale.
Inoltre, l’assimilazione foucaultiana del sistema psichiatrico a quello penitenziario è rispecchiata da una precisa dinamica nel film: quando McMurphy inizia a sfidare l’autorità, la risposta dell’ospedale è la violenza e la repressione, proprio come una prigione farebbe con chi cerca di evadere.
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La speranza in un epilogo tragico
A distanza di cinquant’anni dall’uscita nelle sale possiamo ritenerci liberi dal temutissimo spoiler.
L’epilogo del film, tragico e inevitabile, segna la vittoria della struttura istituzionale che risponde alla ribellione con violenza, pur restituendo un messaggio di speranza. La figura di McMurphy, che nel suo ultimo atto di ribellione trova una via di fuga, richiama la filastrocca che ispira il titolo del film:
“Three geese in a flock, one flew East, one flew West, one flew over the cuckoo’s nest.”
Uno stormo di tre oche, una volò a Est, una volò a Ovest, una volò sul nido del cuculo.
Proprio come nella filastrocca, uno dei protagonisti trova una via di emancipazione, lasciando al pubblico una riflessione profonda sulla natura del potere e sulle possibilità di liberazione da esso.
Ieri e oggi: l’accoglienza del pubblico e l’eredità
All’uscita di “Qualcuno volò sul nido del cuculo“, le recensioni furono entusiastiche: The New York Times definì il film una “profonda riflessione sulla libertà e sull’individualità, resa in modo straordinariamente potente dalla performance di Jack Nicholson“.
La critica si concentrò sul tema universale del film, quello della lotta contro un sistema che tenta di spegnere la scintilla dell’individualità. Variety elogiò la regia di Milos Forman, sottolineando come il regista riuscisse a mantenere l’intensità emotiva e a rendere visibile il conflitto tra il personaggio di McMurphy e l’impersonale autorità della infermiera Ratched. Secondo Time Magazine, il film rappresentava un “brillante studio del carattere umano“, e la loro recensione concluse:
Un racconto potente e doloroso che afferra lo spettatore con una forza che è difficile da ignorare
L’eccezionale performance di Jack Nicholson venne lodata da tutte le testate, ma in particolare la critica cinematografica britannica rimase incantata dalla sua energia irrefrenabile. The Guardian scrisse:
“Nicholson non è solo McMurphy, è la sua stessa essenza. La sua interpretazione fa sembrare ogni altro attore che osi interpretare un ribelle una semplice ombra.“
Non mancarono tuttavia critiche sul trattamento della malattia mentale, ritenuto da alcuni troppo semplificato o troppo drammatizzato.
Tuttavia, con il passare del tempo, la percezione di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” si è evoluta, e oggi viene visto come un film che ha aperto nuove prospettive nel modo di trattare la salute mentale nel cinema, pur mettendo in evidenza più le dinamiche di potere e la resistenza a un sistema opprimente che una rappresentazione accurata della psichiatria.
“Qualcuno volò sul nido del cuculo” è uno di quei film che non si può dimenticare, che lascia una traccia indelebile nell’animo di chi lo guarda. È un film che ci insegna che la vera libertà non risiede nel corpo, ma nello spirito. Che ci dice che a volte, la follia è solo una reazione contro un mondo che sembra privo di senso. E che l’amore, la comprensione e il rispetto reciproco sono le chiavi per vivere davvero.
Nel 2025, a cinquant’anni di distanza dalla sua uscita, il film continua a essere una guida per tutti coloro che si trovano ad affrontare le sfide della vita. Come McMurphy, ognuno di noi, alla fine, può trovare il proprio volo verso la libertà.
“Non siamo mai davvero liberi“, disse una volta Nicholson, “ma possiamo sempre cercare di esserlo. E questo è ciò che McMurphy mi ha insegnato.”
E così, cinquant’anni dopo, McMurphy continua a volare, a ispirare, a insegnare. Perché, come dice il film,
Chi vola non si guarda mai indietro