“Caravaggio svelato”: per la prima volta in esposizione il ritratto di monsignor Maffeo Barberini
Palazzo Barberini a Roma espone per la prima volta al pubblico nella Sala Paesaggi Il Ritratto di monsignor Maffeo Barberini, attribuito alla mano di Caravaggio. Un’opera rara che dopo secoli emerge dall’ombra delle collezioni private per diventare prezioso emblema della ritrattistica caravaggesca.
Un ritratto fuori dai canoni classici
Fino al 23 febbraio 2025 un’occasione unica attende appassionati d’arte ed esperti del settore: ammirare un quadro di Caravaggio mai esposto prima. Le Gallerie Nazionali di Arte Antica a Palazzo Barberini infatti aprono le porte della Sala Paesaggi per accogliere il prezioso Ritratto di Monsignor Maffeo Barberini, il futuro Papa Urbano VIII (1623-1644).
La composizione mostra Maffeo di tre quarti, seduto in poltrona illuminato da un fascio di luce proveniente dal basso. L’ambiente è volutamente scarno ed essenziale in modo da focalizzare l’attenzione sulla figura del monsignore, allora appena trentenne, ma dalla postura già solenne e dallo sguardo deciso. Indossa una berretta e una veste bianca coperta da un abito talare verde.
Con tutta probabilità Caravaggio (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610) immortala l’alto prelato poco prima della partenza per la Francia, presso la corte di Enrico IV, momento che si rivelerà decisivo per la sua carriera ecclesiastica. Sarà anche per questo forse che, pur nella ieraticità tipica del ritratto, riscontriamo un certo dinamismo. Nella mano sinistra il giovane Barberini stringe una lettera, mentre con la mano destra sembra impartire un ordine a un servitore fuori campo. L’atmosfera è intima, priva di retorica, volta a enfatizzare principalmente il carattere assertivo e risoluto del monsignore.
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L’attribuzione a Caravaggio
Si deve allo storico dell’arte Roberto Longhi la divulgazione del raffinato dipinto, poiché ne parlò per la prima volta nell’articolo “Il vero Maffeo Barberini del Caravaggio”, pubblicato sulla rivista Paragone nel 1963. In base alla sua teoria l’opera, databile tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, fu custodita dalla famiglia Barberini per secoli, più precisamente fino al 1935, quando la collezione venne smembrata e diffusa sul mercato antiquario.
In realtà la prima attribuzione del dipinto a Caravaggio è ascrivibile allo studioso Giuliano Briganti; tuttavia lo storico concesse a Longhi il diritto di pubblicazione. Successivamente molti altri esperti tra i quali Federico Zeri, Mia Cinotti (che lo incluse nella sua monografia caravaggesca del 1983), Francesca Cappelletti, Gianni Papi, Maria Cristina Terzaghi, Rossella Vodret, Alessandro Zuccari e Keith Christiansen hanno confermato l’attribuzione, esaltando l’eccezionale qualità tecnica e stilistica del quadro.
L’impostazione diagonale della figura, gli innovativi colori metallici, il candore dell’epidermide, i giochi di luce e ombra, le mani arrotondate, hanno convinto all’unanimità gli storici che si trattasse di uno dei più preziosi esemplari della ritrattistica caravaggesca.
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L’importanza dei dettagli
Molto importanti sono i dettagli, che conferiscono al dipinto un effetto tridimensionale estremamente realistico. Si noti ad esempio il rotolo di documenti in primo piano, legato da un cordone di velluto, che guida l’occhio dell’osservatore sino al volto del Barberini e aggiunge profondità alla composizione.
Tipica di Caravaggio è la tecnica di costruzione degli occhi: al fine di separare la sclera dall’iride, l’artista lascia intravedere una sottile traccia del disegno preparatorio e sull’iride applica una piccola e corposa pennellata di biacca che fissa il riflesso della luce e conferisce intensità allo sguardo, affetto da un leggero strabismo.
Il Ritratto di monsignor Maffeo Barberini colma una lacuna importante nella produzione di Caravaggio che in effetti conta un numero esiguo di ritratti. La pratica ritrattistica del geniale pittore, attenendosi alle fonti, era caratterizzata da una pittura rapida, dal vivo, intenta a cogliere il dinamismo del soggetto.
Secondo le parole del biografo Giulio Mancini, Caravaggio realizzava ritratti “senza similitudine“, ossia affatto idealizzati ma focalizzati sulla psicologia e la vivacità della persona rappresentata. Se i riferimenti stilistici dell’opera si ritrovano nella ritrattistica rinascimentale di area lombardo- veneta, da Giorgione a Moroni, Maffeo Barberini viene raffigurato con un naturalismo e un’immediatezza emotiva rivoluzionarie per l’epoca.
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Una svolta nella pratica del ritratto
Il Ritratto di monsignor Maffeo Barberini segna dunque uno straordinario punto di svolta nell’evoluzione della ritrattistica celebrativa. Caravaggio non si limita a rappresentare un ecclesiastico di alto rango nella sua veste istituzionale: rende il quadro una finestra sulla quotidianità del Barberini, rappresenta il soggetto in movimento, lo rende assoluto protagonista della scena.
Non a caso il dito indice che il monsignore punta verso qualcuno di non visibile travalica i confini bidimensionali della tela, espandendo lo spazio e includendo idealmente anche lo spettatore all’interno della stanza. Il ritratto, secondo le parole dello storico dell’arte Roberto Longhi, diventa così “azione, rappresentazione, dramma in nuce”.
L’esposizione del dipinto per la prima volta al pubblico è un evento eccezionale che il direttore delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Thomas Clement Salomon, commenta in questo modo: «È il Caravaggio che tutti volevano vedere, ma sembrava impossibile. Siamo felici e orgogliosi che le Gallerie Nazionali siano riuscite in questa impresa e che per la prima volta in assoluto questo capolavoro possa essere ammirato da tutti a Palazzo Barberini»
Il dipinto in mostra rientra nel progetto Caravaggio. Il ritratto svelato, a cura di Thomas Clement Salomon e Paola Nicita. Per ulteriori informazioni su prenotazioni e orari delle visite, è possibile consultare il sito web www.barberinicorsini.org .
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Fonte immagini: Wikipedia