Pandemia, isolamento e concertoni: l’Italia che suona guida la resistenza ma non vuole abituarsi allo streaming
Organizzare un concerto evitando assembramenti: quella che dovrebbe essere la regola, cioè la presenza di centinaia o migliaia di spettatori sotto al palco, o anche semplicemente di poche decine, ora, invece, è l’eccezione. Anzi, per ora è pura utopia. L’emergenza sanitaria scaturita dalla diffusione globale del Coronavirus, passato in poche settimane da epidemia a pandemia, ha totalmente stravolto la nostra vita, così come i canoni della musica dal vivo e del mondo dell’intrattenimento in generale.
Magari potessimo promuovere un concerto da dieci persone. Ora, purtroppo, non c’è garanzia neanche su quello. Vige il divieto di assembramenti e continuerà a rimanere tale fino a che non ci sarà una svolta. Come è anche naturale e inevitabile che accada quando si combatte un nemico invisibile che, potenzialmente, può annidarsi in ognuno di noi. E così, ieri, 1 maggio, giornata storicamente dedicata alla musica dal vivo e alle lotte a difesa dei diritti dei lavoratori, non si è potuti scendere in piazza né per manifestare né, tantomeno, per intrattenere gli appassionati della live music che in essa vedono un reale motivo di evasione alla quotidianità.
La pandemia ha messo in ginocchio gran parte delle nostre esigenze e necessità. Fra queste, appunto, il bisogno di vivere le nostre passioni, toccarle con mano, portare avanti quella morbosità che ci fa sognare a occhi aperti, sempre proiettati al poi, all’ennesimo concerto da vedere, all’ennesimo disco da acquistare, all’ennesimo libro o spettacolo teatrale da recensire e consigliare a chi, come noi, fa della curiosità e della voglia di scoprire cosa c’è la fuori dei novelli Gulliver. Anche questa redazione, come altre, ha scelto di adeguarsi al momento.
Ieri, a partire dalle 11 fino alle 20.30, in diretta sulla nostra pagina Facebook si sono esibiti dodici artisti, ognuno proveniente da un diverso angolo d’Italia. L’Aquila, Avezzano, Genova, Milano, Parma, Perugia, Livorno. Un concerto che ha voluto mettere in luce alcune realtà tricolori, non necessariamente tra le più conosciute e celebrate, ma altrettanto valide e, qualitativamente parlando, rilevanti. E, proprio per questo motivo, meritevoli di attenzioni, stima e supporto. Chiunque imbracci uno strumento, si metta dietro un microfono e scelga di colorare il mondo con le proprie note e i propri versi merita rispetto e si, anche gratitudine. Come loro, anche chi fa delle parole e dei concetti, come filosofi e autori, il proprio credo e stile di vita.
L’apertura dell’evento virtuale è stata affidata alla filosofa Marielisa Serone che ha incentrato il proprio discorso sulla necessità di non dimenticare chi fa parte dell’ingranaggio chiamato “arte, spettacolo e intrattenimento”, espressione volutamente onnicomprensiva per evitare di dimenticare, senza assolutamente volerlo, qualcuno. Dopo di lei si sono esibiti Federico Vittorini, frontman delle Lingue, Richi Rossini, Fabio Iuliano & YAWP, Dabadub Sound System, Enrico Bosio degli En Roco, Francesco Torge, Serena Cataldi, Giovanni Artegiani, Brandes e Tacoma. Ha chiuso l’evento, sulle note di “Wish You Where Here” dei Pink Floyd, dopo un monologo incentrato sulle storie più affascinanti di alcuni protagonisti della storia della musica, l’attore Alessandro Martorelli.
Tra chi aveva alle spalle diversi dischi registrati, carriere decennali o una gavetta basata su una lunghissima serie di concerti in ogni dove, e chi, invece, era all’esordio assoluto, è andato in scena un evento che per qualche ora ci ha riconciliati col mondo, ricordando, una volta di più, quanto la musica e l’arte siano preziose per la nostra vita e per la nostra società.
Ma ciò che per alcuni è stata un’occasione e un passaggio temporaneo a tematiche differenti rispetto a quelle abitualmente trattate, per noi, però, ha rappresentato la mera normalità. Non l’eccezione, dunque, ma la regola. Da più di un mese, infatti, The Walk Of Fame ha deciso di dare spazio agli artisti emergenti della musica italiana. Già, quegli stessi artisti che ora, analogamente ai colleghi più famosi, non hanno certezza di tornare presto sui palchi ma che avvertono la necessità di esibirsi, di promuoversi, di far parlare dei propri brani e dei propri testi. Le condizioni per farlo dal vivo non ci sono, e allora ci arrangiamo e guardiamo oltre, lavorando su idee e proposte e sviluppando una rete di collaborazioni che, ne siamo certi, darà ben presto grandi soddisfazioni. Ma non commettiamo l’ingenuità di pensare che tutto ciò possa e debba durare. La collocazione naturale della musica è dei musicisti è sopra un palco, non dietro uno streaming.
E allora guardiamo oltre, al futuro più tangibile, quello odierno. Perché in queste ore, in questi giorni, possiamo costruire la nostra storia. Possiamo cementare la nostra forza d’animo, il nostro talento, la nostra passione e il nostro coraggio. Possiamo ripartire, forse feriti, forse colpiti nel profondo delle nostre abitudini e speranze, ma con una convinzione: l’arte farà il suo corso e neanche questa orribile e subdola pandemia la potrà fermare. Dal canto suo, anche prima di ieri, The Walk Of Fame c’era, c’è e sempre ci sarà.
Federico Falcone
Direttore Responsabile – The Walk Of Fame