Non c’è pace per Michael Jackson: riaperti due casi per molestie
Il riposa in pace non è per tutti i morti. A 14 anni dalla sua morte, Michael Jackson torna sotto l’occhio del ciclone. Una corte d’appello californiana ha ammesso la riapertura dei casi Wade Robson e James Safechuck.
I due uomini, bambini all’epoca dei fatti, accusano l’ex pop star di molestie sessuali. Non solo. Le accuse dei due quarantenni riguardano anche i dipendenti delle società Mjj Productions e Mjj Ventures come complici e omertosi.
Niente di nuovo, purtroppo, per Jackson che nel 1993 e nel 2003 fu già accusato di molestie su gruppi di bambini che frequentavano la sua iconica villa denominata Neverland. Uno dei casi più grandi e importanti degli ultimi 50 anni legati al music business, lo vide nel 2005 essere dichiarato innocente per tutti i capi di accusa.
Da lì il Re del Pop non si è mai ripreso veramente, essendo stato sottoposto a forte stress e accumulando debiti su debiti e abbandonando in seguito il ranch.
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I casi Robson e Safechuck non sonpo comunque una novità nella storia di Michael Jackson. Nel 2019 il documentario della Hbo “Leaving Neverland” portò la vicenda davanti al grande pubblico. I due accusatori, già a 10 anni dalla morte del cantante lo accusavano di molestie e di aver tessuto rapporti stretti con le loro famiglie per avere più facilità di avvicinarsi a loro.
Nel 2013 e nel 2014 entrambi gli uomini intentarono una causa contro la società, ma entrambi i casi furono archiviati nel 2017 in quanto avevano superato i termini di prescrizione della California.
Una legge del 2020 però concesse loro una chance in quanto prevedeva un’estensione del periodo concesso ai querelanti in caso di molestie sessuale per avanzare la propria denuncia. Da qui un ulteriore archiviazione in quanto i dipendenti delle società legate a Jackson furono assolti in quanto non legalmente tenuti a tutelare e proteggere chicchessia dalla star musicale.
Arriva ora l’ennesimo ribaltone per cui una Corte d’appello del secondo distretto della California ha stabilito che “una società che facilita l’abuso sessuale di bambini da parte di uno dei suoi dipendenti non è esentata dal dovere affermativo di proteggere quei bambini semplicemente perché è di proprietà esclusiva dell’autore dell’abuso”.
La palla torna ora ai tribunali di primo grado.