Tullio Solenghi porta Woody Allen in teatro, ma il risultato non è quello sperato
Interpretare Woody Allen è cosa assai complessa, figuriamoci portarlo in scena, a teatro. Ci ha provato Tullio Solenghi con il suo nuovo spettacolo dal titolo “Dio è morto, e neanch’io mi sento tanto bene“, sul palco del Teatro dei Marsi di Avezzano lo scorso 31 gennaio. Considerato, a giusta ragione, il genio della comicità a stelle e strisce, dai più emulato ma da nessuno mai realisticamente eguagliato, colui che nacque Allan Stewart Königsberg è, fin dal 1965, anno del suo debutto sul grande schermo (con il film “What’s new Pussycat?”), modello di riferimento per chiunque ami la risata d’autore.
I suoi testi sono intelligenti come pochi, colmi di riferimenti di altissimo livello culturale (da Marx a Freud, dalla psicanalisi alla pittura, dalla filosofia alla scienza) ma in grado di incastrarsi alla perfezione con un umorismo nazional popolare laddove non sense, spesso volutamente scadente se non provocante, piccante ma non volgare, razionale ma non di rado surreale. Delle sue nevrosi, fobie e paure, Allen ne ha fatto la propria ricetta vincente, miscelandole per dare vita a uno stile unico e inimitabile.
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A testimoniarlo ci sono circa settant’anni di scritti, dai primordiali esordi al The New Yorker, quando era un giovane studente che tirava a campare vendendo le proprie battute al giornale, fino ad arrivare ai diversi libri pubblicati, tutti colmi della sua raffinata arguzia culturale: ed è a questi ultimi che Solenghi si rifa. In questo spettacolo l’attore genovese rilegge alcuni esilaranti aforismi o racconti brevi tratti dalle opere letterarie di Woody Allen, accompagnato sul palco dal Nidi Ensemble a cui spetta il compito di eseguire diversi tra i brani più famosi che compongono le colonne sonore delle pellicole dell’attore, regista e sceneggiatore newyorkese. Si passa così dai “Racconti Hassidici” alla parodia delle Sacre Scritture tratti da “Saperla Lunga”, allo spassoso “Bestiario” tratto da “Citarsi Addosso”, intervallati da brani di George Gershwin, Tommy Dorsey, Dave Brubeck, con uno speciale omaggio al mentore di Woody, il sommo Graucho Max, evocato dalla musica Klezmer.
Le premesse per uno spettacolo intrigante vi erano tutte, d’altronde il materiale su cui Solenghi ha potuto lavorare era garanzia di assoluta qualità. Ma, nonostante ciò, stentiamo ad affermare che la messa in scena abbia colto nel segno, laddove non sia risultata francamente deludente. Il nostro giudizio, è bene specificarlo, si riferisce esclusivamente a quanto visto in occasione della serata ad Avezzano dove le note dolenti, ahinoi, non sono affatto mancate. L’attore è apparso svogliato, poco coinvolgente nel suo incedere nelle letture e con gli occhi perennemente fissi sul leggio, addirittura poco incuriosito nel cercare un’interazione con il pubblico che, dal canto suo, non ha sempre apprezzato una narrazione a tratti frettolosa e poco efficace nei punti salienti.
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Gli aforismi tratti dalle sopra citate opere sono state suddivise per temi (morte, sesso, psicanalisi) dando così, allo spettatore, la possibilità di orientarsi meglio nel pensiero di Allen che, inutile dirlo, fa ridere anche quando prova ad atteggiarsi a serio. L’efficacia e la forza penetrante della sua comicità sono impresse in decine di film e in centinaia di migliaia di citazioni disseminate lungo una carriera lunga più di sessant’anni.
Ma attenzione, perché, come detto all’inizio, interpretare Allen non è affatto facile. Espressività, inclinazione vocale, postura del corpo e approccio fisico allo schermo e ai suoi interlocutori sono tra i principali tratti distintivi del genio di New York, non elementi incidentali o marginali. Tutto ciò che è mancato a Solenghi in questa circostanza.
Le letture sono apparse tutte uguali e monocordi, prive di un coinvolgimento fisico dell’attore e, in più passaggi, raccontate senza un vero trasporto. Una lettura e niente più, insomma, di testi che per rendere al meglio necessiterebbero di una buona dose di espressività e coinvolgimento emotivo. Sincero o meno che sia poco conta, l’importante è che arrivi allo spettatore e che l’interprete sul palco risulti convincente nei panni di un artista senza eguali. Compito difficile, difficilissimo, sul quale non ci sentiamo di sindacare, ma è pur vero che questo non può essere un alibi sufficiente ad assolvere una prestazione sottotono per l’intera durata (un’ora) dello spettacolo che ha fatto sembrare degli sketch geniali, delle trovate strabilianti, delle sciocchezze da bar sotto casa.
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