Speciale “Moonage Daydream”: Bowie racconta Bowie in un vortice metafisico di emozioni
Moonage Daydream non è un semplice docufilm, è un viaggio nella vita e nell’arte di David Bowie, l’artista più versatile ed eclettico degli ultimi cinquant’anni. Disponibile nelle sale cinematografiche italiane dal 26 al 28 aprile, l’opera di Brett Morgen (anche autore di Montage of Heck, docufilm su Kurt Cobain) porta sul grande schermo una raccolta di filmati inediti, interviste storiche e materiale d’archivio dimenticato nel tempo e rispolverato per l’occasione, confezionato in maniera tale da avere una prospettiva quanto più completa su colui che nacque come David Robert Jones. Per quanto si possa tentare di circoscrivere un universo.
A Morgen sono occorsi quasi cinque anni di lavoro per mettere insieme tutta la documentazione reperita, ma il risultato che ne è fuoriuscito è a lunghi tratti esaltante. Per avere un’idea dell’interpretazione artistica di Bowie, e per provare a comprenderla in maniera logica e razionale, il regista prova a fare entrare lo spettatore nella psiche di Bowie. Vengono messe a nudo le sue visioni e la sua concezione spirituale ed eterea della vita e dell’arte. Il suo rapporto con l’amore e con la famiglia, con il pubblico e con l’amato fratello la cui vita è stata per lui di profonda ispirazione.
Per farlo l’escamotage è far parlare direttamente Bowie, in prima persona, davanti a un giornalista o, più semplicemente, con la voce fuori campo a fare da sfondo alle forme che sullo schermo prendono vita. Circa cinque milioni di registrazioni sono servite a Morgen per strutturare Moonage Daydream. Un lavoro monumentale.
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Non vi è una narrazione terza che, in qualche modo, avrebbe fatto da filtro con il protagonista della pellicola, e neanche una serie infinita di testimonianze che, per quanto d’indubbio interesse, avrebbero comunque reso ordinario e prevedibile il tutto, al pari di numerosi altri prodotti pubblicati negli anni. No, per parlare di Bowie, si è ricorso alle sue parole, alla sua mimica, alle sue proiezioni terrestri di alter ego immaginari o provenienti da mondi alternativi preclusi a noi comuni mortali.
Le prospettive intime e fragili dell’uomo, nascoste da personaggi come Ziggy Stardust o Il Duca Bianco, vengono esaltate dalle lacrime dei fan, dai palazzetti strapieni di persone, da “richieste per i biglietti quattro volte superiori alle disponibilità”. Capace di influenzare stili, mode e tempi, è stato gender fluid ancora prima che questo concetto venisse impresso su carta e divenisse massmediatico nella società contemporanea.
Precursore a tutto tondo della libertà d’espressione e della demolizione di barriere e architetture mentali, ha fatto della sua morte un’opera d’arte. Perché polvere e cenere si cercano, ricercano e compensano in eguale misura, perché con la morte del corpo la sopravvivenza dello spirito perdura e si evolve, evade e sconfina, trascende e modella.
Negli anni Settanta Bowie alternava l’amore per la musica a quello per la scultura e per la pittura. Non aveva la pretesa di piacere al pubblico, probabilmente neanche cercava tale appagamento, ma manifestava la necessità di sentirsi libero, estromesso da etichette di comodo e giudizi semplicisti. Camaleontico e trasformista, imprevedibile e rivoluzionario, Bowie ha saputo esplorare l’arte attraverso l’esplorazione di se stesso.
Londra, Los Angeles, Berlino, le tre città che più di tutte hanno ispirato la sua arte, raccontano l’impossibilità di adeguarsi su canoni predefiniti o sul successo di comodo. L’incontro con Brian Eno, nel quale Bowie racconta di aver demolito la sua capacità di scrittura per cercarne una nuova e alternativa a quella conosciuta fino a quel momento è un passaggio indispensabile per comprendere come Il Duca Bianca fosse un’anima irrequieta, alla costante ricerca della novità, di nuovi orizzonti inesplorati e mai appagato dall’ordinaria amministrazione.
Un artista che, come pochi, si è messo in gioco alzando sempre di più l’asticella nell’infinito tentativo di evolvere la propria opera.
La sua crescente ambizione di confrontarsi con la sua proiezione umana di artista e l’ossessivo il bisogno di reinventarsi lo ha portato a rendere difficile la vita di recensori e giornalisti ambiziosi di inquadrarlo in una struttura ben definita. Tempo perso, “è umano, è un robot, è un alieno?“, si afferma durante il docufilm.
Chi fosse realmente non lo sapremo mai, ma non è questo il punto per colui che affermava “odio sprecare le giornate” e “riempite al meglio la vostra vita spingendovi laddove l’acqua è sempre più alta“, intendendo la ricerca spasmodica di nuove emozioni da perseguire e inseguire.
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In Moonage Daydream Bowie racconta Bowie, ed a noi sembra più vicino che mai, nonostante per lui, il tempo su questa Terra si sia fermato al gennaio del 2016. Il corpo muore e diventa cenere, lo spirito sopravvive e si reincarna in qualcosa che trascende lo spazio tempo che noi, comuni e banalissimi umani, consideriamo come un passaggio esistenziale obbligatorio ma del quale, invece, non riusciamo a capacitarcene. Un docufilm che sa tanto di lezione. Da vedere ad ogni costo.
Speciale Davide Bowie, che della sua morte ha fatto un’opera d’arte