Peppa Pig, quando la politica entra nei cartoni animati
Che tutto sia politica è fuori discussione. D’altronde l’etimologia della parola parla chiaro. La Treccani asserisce come il termine “deriva dall’aggettivo greco πολιτικός, a sua volta derivato da πόλις, città. Era il termine in uso per designare ciò che appartiene alla dimensione della vita comune, dunque allo Stato (πόλις) e al cittadino (πολίτης)”.
Quindi cosa c’entra Peppa Pig?
Il cartone animato, che quest’anno ha compiuto 18 anni, è da sempre un punto di riferimento nell’intrattenimento dei bambini. Si potrebbe dire che svolge anche un ruolo pedagogico (maestro Manzi, ci perdoni). Un qualcosa dunque di interesse pubblico, attinente ad una dimensione della vita di (piccoli) cittadini.
Sebbene sia un semplice cartone animato per bambini, il maialino questa volta fa parlare e discutere i più grandi. In una delle ultime puntate è stato inserito il tema delle famiglie omogenitoriali. In particolare l’orso polare Penny presenta a Peppa Pig le sue due mamme.
“Io vivo con la mia mamma e l’altra mia mamma. Una mamma fa il dottore. L’altra cucina gli spaghetti. Io adoro gli spaghetti”.
Bisogna sottolineare come l’iniziativa non sia stata propriamente spontanea da parte degli autori. Infatti già due anni fa negli Stati Uniti partì una petizione per introdurre nel cartone delle figure di genitori omosessuali. A distanza di anni i sottoscrittori sono stati accontentati.
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Se alcuni hanno applaudito al gesto, altri, come Fratelli d’Italia, hanno chiesto di non trasmettere la puntata in quanto “Peppa Pig è un cartone che guardano mediamente bambini di tre anni. Sono materie che dovrebbero maneggiare le famiglie. Questo ho sempre pensato e questo continuo a pensare. Altrimenti si rischia di voler per forza imporre concetti che è un po’ presto per metabolizzare. Non ci sono le famose fobie che qualcuno ritiene”. Queste le parole di Giorgia Meloni, che tiene quindi a sottolineare come un tema così delicato non debba diventare una forzatura.
Quasi a sorpresa arrivano le parole della speaker radiofonica di Radio Globo Federica De La Vallèe. A sorpresa perché la conduttrice romana ha affrontato il processo di transizione passando dall’essere un uomo a donna. Chi meglio di lei potrebbe essere interessata al tema e alla normalizzazione di alcuni concetti. Nella trasmissione di venerdì 9 settembre, “The Morning Show”, la De La Vallèe è intervenuta sottolineando come per lei questa scelta di introdurre una coppia lesbica sia “una forzatura commerciale. Un po’ come i loghetti delle grandi aziende che diventano improvvisamente arcobaleno. È una piacioneria”.
Parole dure, ma soprattutto chiare, di chi sicuramente sa bene l’importanza ma soprattutto la delicatezza che si deve avere nell’affrontare determinati temi.
Alessandro Zan deputato del Pd, ironicamente ha parlato di “un nuovo nemico che assedia la nazione: Peppa Pig”. Mentre Fratoianni è più caustico sostenendo che “le famiglie arcobaleno esistano, e che gli si debbano essere riconosciuti tutti i diritti”.
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Il maialino non è comunque l’unico protagonista al centro delle discussioni. Disney Plus ha da poco lanciato il nuovo live action di Pinocchio con Tom Hanks nel ruolo di Geppetto. Ma soprattutto Cynthia Erivo come fata turchina. E proprio la scelta dell’attrice britannica di origine nigeriane ha scatenato le polemiche. Infatti nel XV capitolo del racconto Collodi stesso descrisse il personaggio come “una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto”.
Per amore dell’inclusività si è deciso di cambiare i connotati alla fatina. Il risultato però non sembra essere quello sperato. In molti, soprattutto sui social, hanno lamentato di non gradire questa forzatura che allontana dalle descrizioni originali. Il politicamente corretto in ogni dove sembra infatti sortire effetti contrari a quelli auspicati. Le polemiche intorno a Cenerentola con la fata afro e gay interpretata da Billy Porter, o alle censure riguardo Dumbo, Peter Pan e Gli Aristogatti, non hanno fatto altro che alimentare un allontanamento e un rifiuto verso alcune tematiche come omofobia e razzismo.
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L’inclusività ad ogni costo non sembra ripagare. Il processo di “normalizzazione”, come lo chiamano i diretti interessati, dovrebbe essere più spontaneo e soprattutto meno propagandistico. Il vittimismo è una carta che difficilmente si rivela vincente.