Correggio, l’eccelso pittore delle illusioni
Stasera, alle 19.20, va in onda su Rai5 il documentario prodotto da Rai Cultura, “Correggio, dall’ombra alla luce”, di Emanuela Avallone e Linda Tugnoli. Un’ottima occasione per riscoprire un pittore di cui si parla oggettivamente poco ma che seppe convogliare la morbidezza dei volti raffaelleschi, le prospettive leonardesche e le illusioni prospettiche del Mantegna in una pittura assolutamente rivoluzionaria, a cavallo tra Rinascimento e Barocco.
Una vita e un apprendistato avvolti nel mistero
Della vita di Antonio Allegri, detto Correggio, si hanno notizie scarne. Il nome col quale è universalmente conosciuto deriva da quello del borgo natio, in provincia di Reggio Emilia, dove vede la luce nell’agosto del 1489.
Dal 1503 al 1505 alcuni storici lo pongono a bottega da Francesco Bianchi Ferrara di Modena, altri lo inseriscono nella bottega del grande pittore Andrea Mantegna, del quale sicuramente contribuisce a decorare la cappella funebre.
Dopo la morte del Mantegna si sposta a Ferrara, dove subisce le influenze classiciste degli artisti Lorenzo Costa e Francesco Francia.
Gli ambienti accademici hanno a lungo dibattuto su un suo ipotetico viaggio a Roma nel 1518, evento ormai dato quasi per certo, dati i potenti rimandi leonardeschi e raffaelleschi che permeano le sue opere.
Le prime opere
In assenza di precisi dettagli biografici, a parlare per Correggio sono le sue opere. Le prime, databili tra il 1510 e il 1514 si concentrano su episodi biblici come la Natività e L’adorazione del bambino con Santa Elisabetta (entrambi alla Pinacoteca di Brera) e su numerose pale d’altare.
La prima databile con certezza è La Madonna di San Francesco (1514) realizzata per l’altare della chiesa di San Francesco a Correggio, sua città natale e ora conservata a Desdra.
Nella Sacra conversazione si vede al centro la figura di Maria seduta in trono con in braccio il piccolo Gesù. Ai suoi piedi vi sono San Francesco e dietro di lui Sant’Antonio da Padova. A destra Giovanni Battista guarda verso l’osservatore indicando il Bambino, mentre dietro vi è Santa Caterina d’Alessandria.
Immediate sono le analogie con le eteree fattezze della Madonna Sistina di Raffaello.
La camera della Badessa
L’opera che consacra Correggio tra i più abili pittori del Cinquecento e lo eleva a fama imperitura, è senza dubbio la decorazione della Camera della Badessa detta anche Camera di San Paolo.
Commissionata nel 1519 dalla colta e volitiva badessa Giovanna Piacenza presso il convento benedettino di San Paolo, la raffinata camera da letto, è considerata un capolavoro assoluto della tecnica a fresco e delle illusioni prospettiche.
Dalle lunette affrescate con le effigi degli antichi si innalza una sofisticata volta divisa in sedici spicchi, una sorta di ombrello con stecche dorate che converge al centro verso lo stemma araldico della badessa; in ogni spicchio che simula le foglie verdeggianti di un pergolato, è situato un ovale dal quale si affacciano putti giocosi che mostrano trofei di caccia.
La stanza, che si offre allo spettatore come una sorta di giardino illusorio pieno di frutti e delizie ma anche di rimandi mitologici alla dea Diana, sembra volesse essere un invito per le giovani monache a riflettere sui vizi e le virtù.
Il prestigioso ambiente tenuto nascosta per oltre due secoli dopo la realizzazione, viene riscoperta dal pittore e critico d’arte Anton Raphael Mengs che ne rimane strabiliato.
Le importanti commissioni a Parma
La fase matura di Correggio si concentra a Parma dove è chiamato ad affrescare la Cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista e poi la Cupola del Duomo.
La Cupola di San Giovanni Evangelista viene dipinta tra il 1520 e il 1524 e mostra la visione che S. Giovanni ebbe nell’isola di Patmos dove gli apparve Gesù. Anche per quest’opera, la sensazione è quella di una finestra aperta, con gli apostoli sospesi tra le nubi intorno alla figura del Cristo dell’Apocalisse che si erge nella luce. Un’illusione ottica che sorprende ancora oggi; grazie infatti al restauro, guidato da Marcello Castrichini, si scorgono figure mai viste in precedenza e una capacità di catturare la luce davvero straordinaria.
Concluso questo primo lavoro, Correggio si dedica ad affrescare la Cupola del Duomo terminando con risultati eccezionali nel 1530. L’Assunzione della Vergine dipinta al suo interno porta ai massimi livelli l’intento del pittore di trasformare la prospettiva bidimensionale e terrestre dei fiorentini in una prospettiva tridimensionale e celeste. In questa stupefacente scena corale una moltitudine di angeli con movimento centripeto, accompagna l’ascesa della Madonna al cielo.
Il risultato suscita una tale ammirazione tra i contemporanei, che Tiziano osservandola, pare abbia esclamato: “Se capovolgeste la cupola per riempirla d’oro non fareste il valore di questi affreschi”.
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Il ciclo degli amori di Giove
Nella fase finale della sua carriera, tra il 1530 e il 1533, Correggio si focalizza sui soggetti mitologici e realizza il Ciclo degli amori di Giove. Un totale di quattro tele commissionato da Federico II Gonzaga, duca di Mantova e destinato, secondo il Vasari, all’imperatore Carlo V.
I dipinti raffigurano rispettivamente: il Ratto di Ganimede, Leda, Danae e Giove e Io; episodi nei quali il re degli dei possiede le sue amanti sotto forma di animale o di agente atmosferico.
Danae è l’unica tela oggi conservata in Italia, presso la Galleria Borghese a Roma e rappresenta l’eroina adagiata su un letto nell’atto di essere fecondata da Giove tramutatosi per l’occasione in una sottile pioggia d’oro. Una mirabile prova del Maestro, intento a riprodurre la bellezza femminile con eterea leggiadria senza per questo rinunciare alla sensualità.
Poco dopo questo pregevole ciclo, nel marzo 1534, Correggio muore e viene sepolto nella chiesa di San Francesco della sua città natale, accanto al suo capolavoro giovanile, la Madonna di San Francesco.
Il Nord Italia è così grato al mirabile lavoro del Correggio che il Complesso Monumentale della Pillotta a Parma ha allestito in suo onore una mostra permanente intitolata “L’Ottocento e il mito di Correggio”. L’esposizione comprende quattro capolavori: la Madonna con la Scodella e la Madonna di San Gerolamo, ai quali si aggiungono altri due dipinti provenienti dalla Cappella del Bono e le mirabili incisioni correggesche di Paolo Toschi.