La televisione italiana festeggia 68 anni
Le prime storiche parole della televisione italiana, dopo le fasi sperimentali, furono affidate a Fulvia Colombo il 3 gennaio del 1954.
«La RAI Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive».
La fase sperimentale della televisione italiana
Nel 1944 l’Eiar divenne Rai e già nel dopoguerra i suoi dipendenti ripresero gli studi e gli esperimenti che portarono alla prima trasmissione l’11 settembre del 1949 a Torino.
Dopo la decisione, presa dal Consiglio superiore delle telecomunicazioni, di adottare lo standard europeo delle 625 linee, nel 1952 a Milano fu installato un secondo trasmettitore. L’occasione per avvicinarsi al pubblico fu data dalla Fiera Campionaria durante la quale la Rai organizzò un ciclo di trasmissioni sperimentali dalla stazione del capoluogo lombardo.
Da quell’aprile furono trasmessi programmi di prosa, varietà, balletto, fino al 9 settembre quando fu trasmesso il primo telegiornale. Pochi servizi commentati da una voce fuori campo.
Nel 1953 l’attività sperimentale della televisione italiana venne incrementata, tenendo conto anche dei primi feedback degli utenti. L’autunno dello stesso anno vide l’apertura dello studio di Roma. La programmazione era quindi pronta per il lancio del servizio nazionale.
Furono così costruiti altri 4 trasmettitori (Portofino, Monte Serra, Firenze-Trespiano, Monte Peglia) che permisero il collegamento tra la Capitale e il Nord. La rete, il 1° gennaio del 1954, era pronta a servire 20 milioni di abitanti. Circa il 43% della popolazione italiana.
Il 3 gennaio, alle 11 di mattina, apre i battenti il “Programma Nazionale”, antesignano dell’odierno Rai1. Il programma inaugurale fu il finale del “Guglielmo Tell” di Gioacchino Rossini. Da lì la madre delle “signorine buonasera”, Fulvia Colombo cominciò a elencare i programmi della giornata.
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Il palinsesto era scarno, le trasmissioni andavano in onda dalle 12 alle 23, ma già comparivano alcune figure che faranno la storia della televisione italiana. Come Mike Bongiorno, con “Arrivi e partenze”. Ma anche alcuni programmi arrivati fino a oggi. “La domenica sportiva”, che fece il suo esordio già nel 1953 durante le giornate sperimentali.
La televisione, inizialmente guardata dagli italiani soprattutto nei bar, nei circoli, nelle associazioni, andò piano piano a sostituire la radio.
La sua funzione, la capacita di fidelizzare l’utente attraverso le immagini abbattendo ancora di più le barriere spazio-temporali, fecero sì che quell’oggetto piano piano divenne uno status symbol.
La Rai ne approfittò per diventare una fabbrica di merce di consumo ma anche una potente finanziaria in grado di determinare, con le commesse, con gli appalti, le scelte tecniche nelle installazioni, gli investimenti edilizi.
La nascita della tv avvenne dunque in un momento di forte espansione economica. Il capitalismo italiano trovò nel nuovo mezzo una possibilità di sviluppo. Abbandonò infatti altri settori dell’industria culturale per puntare sulla televisione, che ogni anno aumentava a dismisura l’audience.
La televisione (la visione collettiva soprattutto) cambiò le abitudini della massa. Molto più di quello che fece la radio negli anni ’30.
Il nuovo strumento di comunicazione ebbe un orientamento politico-culturale dell’industria del tempo libero nuovo. Ci fu, infatti, il tentativo di creare un pubblico unificato al quale proporre modelli d’informazione e di comportamento standardizzati. Ma la televisione ebbe, nella sua fase iniziale, anche un fine pedagogico. Il famoso programma “Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta” con il maestro Alberto Manzi, andò in onda dal 1960 al 1968. Forse l’appuntamento televisivo più importante per l’Italia. Ma la tv fu responsabile, come sottolineò Tullio De Mauro, del cambiamento linguistico italiano.
In questi primi 68 anni sono nati altri canali Rai. Sono nate tv private, la pay per view, le dirette di eventi storici (l’allunaggio su tutti). Si sono alternati e succeduti personaggi di ogni genere. Il modo di fare televisione è cambiato. Dalla giacca e cravatta al nudo. Dai programmi culturali, alle tribune elettorali fino a programmi demenziali e ai reality. Il piccolo schermo è tutto e il contrario di tutto. È lo specchio della società e artefice del cambiamento di essa.
A 68 anni di distanza, nonostante i social e gli smartphone, la televisione continua a rappresentare un qualcosa di quasi imprescindibile. Prova ne è stato il primo lockdown. Quando gli italiani, in trepidante e terrorizzata attesa, si sono riuniti più volte davanti lo schermo per guardare tutti lo stesso programma. Quasi come nel 1954.