“Cinema d’Estate”: Lo squalo
Possono due sole note terrorizzare generazioni e generazioni di bagnanti? La risposta è facilmente consultabile su qualsiasi manuale di Storia del Cinema sotto la voce John Williams, che de Lo squalo ha curato la colonna sonora vincendo Premio Oscar, Golden Globe, Premio BAFTA e un Grammy Award nel 1976. Avvalendosi di un semplice schema alternato di due note, Mi/Fa e Fa/Fa#, il compositore statunitense realizza uno dei più celebri motivi di sempre, col preciso intento di “aggredirti proprio come farebbe uno squalo, istintivo, implacabile, inarrestabile”.
Non a caso siamo partiti dalla colonna sonora. Iconica, immortale, martellante e terrorizzante, lo stesso Steven Spielberg, al suo terzo lungometraggio dopo Duel (1971) e Sugarland Express (1974), dichiarerà che senza il lavoro di Williams, il film avrebbe ottenuto solo la metà del successo. E sì, che di successo ne ha ottenuto. Uscito nelle sale americane nel giugno del 1975, Lo squalo (Jaws) si piazza saldamente in testa al boxoffice facendo registrare il maggior incasso della storia del cinema fino a quel momento, stracciando autentici capolavori come La stangata (1973), L’esorcista (1973) e Il padrino (1972), con un incasso di 470 milioni di dollari.
Tratto dall’omonimo romanzo di Peter Benchley, che a sua volta prese spunto dai reali attacchi di squalo che si verificarono lungo la costa del New Jersey nel luglio del 1916 in cui persero la vita quattro persone, confinare Lo squalo in un unico genere cinematografico non è cosa facile. Avventura, drammatico, horror o thriller. L’eterna lotta tra l’uomo e la natura prepotentemente al centro del film. Di sicuro parliamo di un’opera che ha contribuito in maniera inequivocabile a fare la storia del cinema e rafforzare nello spettatore, l’atavico terrore dell’ignoto e dei grandi mostri marini, già introdotto con Moby Dick nel 1851 e nel 1870 con Ventimila leghe sotto i mari.
L’UOMO, IL MARE E L’IGNOTO
“L’anno 1866 fu caratterizzato da uno strano avvenimento, un fenomeno inesplicato e inesplicabile, che nessuno ha certamente dimenticato. Senza parlare delle voci che agitavano le popolazioni delle città marittime e sovreccitavano lo spirito pubblico di tutti i continenti, tutta la gente di mare n’era particolarmente commossa. Mercanti, armatori, capitani di navigli, piloti di Europa e d’America, ufficiali delle Marine da guerra di tutti i Paesi e, finalmente, i governi di molti Stati nei due continenti, se ne preoccuparono vivamente. Che cosa era successo? Da qualche tempo, parecchie navi avevano incontrato in alto mare una “cosa enorme”, una strana cosa, lunga, fusiforme, talvolta fosforescente, infinitamente più grande e più veloce di una balena”. Nel romanzo di Jules Verne, il lettore viene incuriosito, terrorizzato e trascinato nel profondo degli abissi marini, tra piovre, calamari giganti e creature sconosciute.
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È nel Moby Dick di Herman Melville, però, che Lo squalo trova il suo perfetto specchio. C’è Quint (Robert Shaw): il vecchio lupo di mare che, reso folle dalla corsa al pescecane, così come lo è Achab per la balena, finirà per perdere tutto. Il ricco e placido biologo Hooper (Richard Dreyfuss), saggio e prudente al pari del primo ufficiale Starbuck, e il titubante sceriffo Brody (Roy Scheider), che scaverà nel proprio Io come un perfetto Ismaele. Si salpa a bordo dell’Orca, così come i protagonisti del romanzo navigavano sul Pequod. E poi c’è lui: lo squalo. Il predatore più antico della “parte acquea del mondo“, da sempre incubo primordiale dell’uomo di mare che, al pari di Moby Dick, affascina e terrorizza i protagonisti infestando le placide acque dell’isola di Amity.
Una creatura enorme, inesorabile e distruttiva. Che “Ti mangia vivo. Ti addenta, ti dà una strizzata e sei fatto…”, spiegherà Quint agli abitanti dell’isola. Un essere che appare dal profondo dei mari senza il minimo preavviso. E quella paura, è perfettamente e ormai iconograficamente racchiusa nella battuta di Brody quando si accorge delle dimensioni dello squalo: “Ci serve una barca più grossa…”. Applausi e 35esima posizione tra le 100 migliori citazioni cinematografiche di tutti i tempi, secondo l’American Film Institute.
Il film vive di suspense. È quello l’aspetto che spaventa il pubblico. Per capirne il senso, ci aiuta un maestro come Alfred Hitchcock che al suo pubblico spiegherà: “La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico mentre la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto – c’è un orologio nella stanza -; la stessa conversazione insignificante diventa tutt’a un tratto molto interessante perché il pubblico partecipa alla scena. Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: “Non dovreste parlare di cose banali, c’è una bomba sotto il tavolo che sta per esplodere da un momento all’altro”. Abbiamo offerto al pubblico quindici minuti di suspense”. Spielberg lo sapeva e ne ha fatto l’anima del film. Il pericolo c’è, lo sappiamo, ma non si vede.
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Ed eccoci a quella grande paura dell’uomo: l’ignoto. Non è un caso, infatti, che l’uscita del film nelle sale fece scattare un’ampia psicosi collettiva, tanto sulle spiagge americane quanto su quelle del resto del mondo. E non è un caso che lo stesso squalo sia nascosto allo spettatore per tutta la prima parte del film. Le scene sono girate in mare aperto ma lui, lo squalo, non appare che dopo un’ora. È lì, nell’acqua, e si avvicina sempre di più. Non si vede ma c’è. La sua presenza è accompagnata sempre e solo dalla musica che incalza.
Anche in tutto questo si nota la perfezione stilistica del film. Stile sì, ma con la giusta dose di fortuna che aiuta gli audaci. Il modello dello squalo era stato ricostruito meccanicamente, ma le componenti elettriche venivano continuamente danneggiate dall’acqua salata, tanto da renderne quasi impossibile l’utilizzo. È lo stesso Spielberg che rende merito alla casualità: “Se avessimo realizzato Lo squalo nel 2005, mi sarei affidato al digitale e lo squalo comparirebbe più spesso. In questo modo avrei rovinato il film. Il fatto che lo squalo non funzionasse, trent’anni fa, fu la mia salvezza”.
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