Sette aprile 1300, Dante si smarrisce nella selva oscura
Era il 7 aprile del 1300 quando Dante Alighieri si perse nella “selva oscura”.
Il suo viaggio spirituale nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, raccontato nella Commedia (“divina” lo aggiunse solo in seguito Boccaccio), iniziava quella notte con questo smarrimento in cui incontra le tre fiere che alcuni identificano ne “le tre faville che c’hanno i cuori accesi” (Inferno, VI, v. 75), cioè superbia, invidia e avarizia. Altri invece nella lonza, nella lupa e nel leone vedono la lussuria, l’avarizia e la superbia. Un’altra interpretazione di questa allegoria dantesca vi individua la frode, la violenza e la mancanza di moderazione. In pratica le tre categorie del peccato proprie dell’etica di Aristotele, sulle quali Dante fonda i peccati nell’Inferno.
Il suo capolavoro per eccellenza, che lo portò ad incontrare personaggi come Virgilio, Ulisse, Giustiniano, Guinizzelli, iniziò nella notte di questo giorno di 722 anni fa.
Questo almeno secondo il computo di Natalino Sapegno, uno dei maggiori studiosi del ‘300 letterario italiano. Per lui le parole del diavolo Malacoda nel XXI canto (vv 112-114) “Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta,/mille dugento con sessanta sei /anni compié che qui la via fu rotta” , stavano ad indicare che l’inizio del viaggio di Dante fosse fissato il giorno della morte di Cristo. Il venerdì Santo, che nel 1300 cadde l’8 aprile.
Perciò la notte del 7 aprile Dante si smarriva nella selva, simbolo della perdizione, del peccato in cui l’uomo si trovava. Da lì iniziò la discesa all’Inferno per la quale prese spunto dai miti di Orfeo, di Teseo, di Ercole. Fece riferimento, altresì, alla discesa di Enea nell’Ade narrata da Virgilio nel VI libro dell’Eneide. É inoltre ravvisabile la Lettera ai Corinzi dell’Apostolo Paolo, nella quale viene narrato il suo rapimento “al terzo cielo” interpretando i 3 giorni che passarono tra la morte di Cristo e la sua resurrezione come il tempo necessario per discendere nell’Inferno e liberare i patriarchi. La lettera ai Corinzi rientrava nel patrimonio culturale del poeta fiorentino, così come il Somnium Scipionis di Cicerone e l’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni.
Questa data non coincide però con gli studi di Sermonti e Porena, per i quali il viaggio sarebbe iniziato il 25 marzo. Il calendario fiorentino dell’epoca poneva in questa data la concezione di Cristo. Nel Medioevo i giorni dell’anno venivano contati non dall’1 Gennaio ma ab nativitade, quindi dal 25 dicembre, oppure ab incarnatione, cioè dal 25 marzo. Il comune fiorentino dell’epoca in cui visse Dante adottò, secondo alcuni atti notarili, il secondo parametro. Per questo i due studiosi interpretano le parole di Malacoda come un indizio secondo cui la data del principio del viaggio dantesco fosse il 25 marzo del 1300.
Qualunque sia la data, il cammino di Dante nell’aldilà dimostra come, anche in uno stato di disordine e caos, seguendo la guida dell’Impero (Virgilio) nelle cose (dal latino res,rei) temporali, e lasciando solo la spiritualità alla Chiesa (Beatrice), sia possibile raggiungere l’ordine e la felicità.
Il viaggio del 7 aprile, iniziato con lo smarrimento nell’oscurità, vede Dante uscirne alle prime luci dell’alba del venerdì Santo. Intraprese così quel grandioso viaggio descritto nei 33 canti della Divina Commedia.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita”. (Inferno, I, vv 1-3)