“Lady Macbeth” e l’estrema lotta per la libertà
“Vieni, densa notte, e ammantati del più perso fumo d’inverno, perché il mio affilato pugnale non veda la ferita che fa, e il cielo non possa affacciarsi di sotto la coltre delle tenebre per gridare Ferma!” – Monologo di Lady Macbeth in Macbeth – William Shakespeare
Tutti conosciamo la Lady Macbeth di Sir William Shakespeare, la sua forza e la sua anima dannata. Eppure, parleremo di una seconda donna che porta questo nome, ma il dramma è un altro. Siamo in Russia, e nel 1865 Nikolaj Leskov dà vita ad una figura femminile ancora più oscura di quella a noi tanto celebre, una donna il cui fascino giungerà fino agli attenti occhi di un regista come William Oldroy, che nel 2017 la porta sul grande schermo.
Catherine è una diciassettenne intrappolata nella società inglese di metà ‘800. Costretta in sposa ad un ricco uomo molto più grande di lei, vive in un maniero che ricorda fortemente i cupi paesaggi tanto cari alla più nota Jane Eyre, in completa solitudine. Trascurata e disprezzata dal marito, che la costringe a restare chiusa in casa, Catherine soffre la sua nuova condizione, soprattutto quando il suocero inizia ad opprimerla psicologicamente ricordandole i suoi doveri coniugali, primo fra tutti il concepimento di un degno erede per la famiglia.
La storia si apre in modo molto classico. Donne come le protagoniste dei grandi romanzi dell’800 avrebbero molto in comune con la sorte di Catherine, eppure non si può certo dire che la banalità sia una caratteristica di questo film. Sin da subito si nota, attraverso una fotografia tagliente e minimalista, come l’idea che abbiamo della giovane e sventurata ragazza di quei tempi, non combaci con la figura di Lady Macbeth. Catherine non è una debole eroina, Catherine è artefice del suo destino dall’inizio alla fine del film.
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La forza, la risolutezza, la totale assenza di empatia e la voglia smaniosa di una donna di ottenere ciò che vuole, a discapito di tutto e tutti, sono rappresentate così bene, che l’assenza di musica durante l’opera non fa altro che sottolinearne l’intensità. Degna di un regista teatrale quale Oldroy, la direzione è curata in ogni minimo dettaglio e soprattutto focalizzata su quei personaggi che fanno la storia. Lo squallore nel quale è ambientata l’intera vicenda, è resa al massimo grazie all’interpretazione di giovani attori che si calano perfettamente nelle parti, soprattutto la giovane Florence Pugh, che veste i macabri panni della dark lady di questo film.
Una riflessione viene spontanea: la chiave di lettura di questo personaggio, la sua voglia di evadere, la sua fame di libertà, riesce a farci calare così tanto nei panni di Catherine, da renderci meno pesanti le sue azioni?
E’ difficile e forse anche pericoloso darci una risposta a questa domanda, eppure si arriva quasi a “giustificare” questo personaggio al limite del concepibile. Possibile che la sete di cambiamento riesca ancora a viaggiare nel tempo dal lontano ‘800, fino ai nostri giorni? Ai “critici” l’ardua sentenza.