Camillo Sbarbaro, il “poeta delle piccole cose”
Camillo Sbarbaro (1888-1967) fu un grande poeta pascoliano della Natura, carissimo amico di Eugenio Montale, il quale gli dedicò una sezione nella sua raccolta “Ossi di seppia”.
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La sua poesia è un inno alle esperienze quotidiane, alle piccole gioie della vita, a tutto ciò che è naturale e che “combatte” per vivere. Da qui deriva il suo profondo amore per le forme di vita nascoste della terra, in particolar modo per i licheni. Questi ultimi rappresentano per lui la forma più espressiva della natura, capace di vivere in ogni condizione, sopra ogni suolo, laddove altre specie non possono. Le sue parole in merito furono:
“Non lo scoraggia il deserto; non lo sfratta il ghiacciaio… Teme solo la vicinanza dell’uomo… Il lichene urbano è sterile… Il fiato umano lo inquina”.
In “Pianissimo” (opera pubblicata per la prima volta dalle Edizioni “La Voce” a Firenze nel 1914) Sbarbaro realizza e fornisce un ritratto straordinario della città moderna, luogo per eccellenza della solitudine e dell’alienazione, dell’abbandono e della separazione. Questa condizione è possibile attualizzarla alla società dei nostri giorni, complice anche il periodo storico che stiamo vivendo.
A volte mentre vado solo al sole
«A volte mentre vado solo al sole
e gli aspetti del mondo accolgo e il cuore
quasi m’opprime l’amorosa ressa,
ombra il sole ecco farsi e l’ombra, gelo.
Un cieco mi par d’essere che va
lungo la sponda d’un immenso fiume.
Scorrono sotto l’acque maestose;
ma non le vede lui: il poco sole
lui si prende beato. E se gli giunge
a tratti mormorar d’acque, lo crede
ronzìo d’orecchi illusi.
Perché a me par vivendo questa mia
povera vita, un’altra rasentarne
come nel sonno; e che quel sonno sia
la mia vita presente.
Un vago smarrimento allor mi coglie,
uno sgomento pueril.
Mi siedo
dove sono, sul ciglio della strada,
miro il misero mio angusto mondo
e carezzo con man che trema l’erba.»
Di Erica Ciaccia