Il destino come crocevia delle nostre vite, Buffa spiega “Il rigore che non c’era”
Il destino come crocevia delle nostre vite. Le cosiddette sliding doors come bivio per tracciare la nostra esistenza. Quante volte ci siamo posti la fatidica domanda: “Cosa sarebbe successo se…”?. In giro per i teatri italiani con “Il Rigore che non c’era“, Federico Buffa affronta le domande senza voler dare risposte assolute perché, come ha tenuto a specificare, “i fatti sono fatti, e ciò che è accaduto non si può cambiare”. Ma, a volte, fermarsi a riflettere può far meglio apprezzare l’accaduto, a prescindere dal fatto che avrebbe potuto o meno verificarsi.
E’ corretto affermare che il destino non è mai frutto di un singolo elemento o episodio?
Forse si, nel complesso disegno della nostra vita può essercene uno attorno cui la vita gira. Nel mio caso c’è stato. Se non avessi ricevuto la proposta di realizzare quelle piccole storie di basket dal titolo “l’Nba dei nostri padri”, una rubrica carbonara agli inizi del 2012, probabilmente non starei facendo questa intervista con te. Sicuramente non con il teatro di sfondo.
Hai sempre sostenuto di provare una profonda attrazione per ciò che non sai fare. Il tuo stimolo è quindi nel farlo. Anche questa è una sfida?
Se non avessi fatto le narrazioni televisive, non sarei arrivato mai in teatro. All’inizio pensavo fossero poche quelle da realizzare e invece si sono trasformate in ciò che ora conosciamo. Siamo andati oltre.
Può, il tuo modo di raccontare e stare in scena, prescindere dalla musica?
Quando sono in televisione e siamo all’aperto dove questa non c’è, provo sempre un certo effetto. Ormai, proprio per via del teatro, sono abituato alla costante presenza della musica. Con i tempi di scena è molto più facile essere concentrato e provare suggestioni, mentre in televisione è tutto più freddo, anche perché magari devi ripetere diverse volte a causa di varie problematiche.
Porterai mai in scena uno spettacolo esclusivamente musicale?
Personalmente adoro la musica. Mi entusiasma parlarne e, quando mi ritrovo a farlo, mi accorgo di come ci sia gente realmente esperta, ma anche di come io abbia un’accezione più istintiva e spontanea. Per me è una componente essenziale, e infatti c’è sempre stata.
Ti avrei visto bene a raccontare la storia di Don Shirley e Tony Lip, portata sul grande schermo da Green Book. La trovo incredibilmente esemplificativa del tuo modo di fare teatro
E’ vero. Mi piacerebbe moltissimo fare uno spettacolo su una storia così piena di sfumature. In Italia sarebbe difficile, però. Sai, devi anche produrlo uno show simile, e non è così scontato che ciò accada. Ci sono certamente dei passaggi di quel film che sono trascritti nella mia agenda ideale. Questo si.
Quanto sei influenzato dalle dinamiche sociali all’interno delle quali ti muovi?
Durante l’ultimo Halloween negli States è morta una bambina poiché le hanno sparato nel mentre chiedeva “dolcetto o scherzetto”. Ho chiesto al regista di poter fare una variazione e, quindi, una riflessione a voce alta sul perché gli americani permettano questa carneficina. In Europa ci sarebbe una rivolta sociale. Non è possibile che una bambina che sta chiedendo un dolcetto ad Halloween prenda una pallottola in testa.
Come te lo spieghi tutto questo? Ammesso che una spiegazione vi sia...
Per loro è una cosa riprovevole ma hanno deciso di non adottare alcun provvedimento. Non sono interessati a farlo. Negli Stati Uniti c’è un disagio sociale molto forte, forse tenuto volontariamente sottotraccia. Episodi analoghi sono sempre accaduti, però. La spiegazione? Magari potremmo cercarla in quel secondo emendamento della loro costituzione che in Europa è davvero complesso da spiegare. Se lo valuti dal loro punto di vista rispecchia esattamente il modo in cui la società americana è stata costruita. Ma perché un 18enne dovrebbe comprare un fucile d’assalto, se non per uccidere più persone possibili nel minor tempo possibile? Cosa volete che faccia, sennò, con quell’arma? Come possiamo ritenere che sia normale e funzionale a una civiltà equilibrata?
Quale, secondo te, è il modello europeo più vicino a quello statunitense?
Nessuno Stato europeo prevederebbe la libertà del porto d’armi in quel modo incondizionato, cioè senza regole. E’ fuori discussione. Ma in Europa come in Nuova Zelanda, dove ogni volta che vado mi sento in paradiso. Oltre a essere un posto di una bellezza sorprendente è anche una sorta di isola felice. Le armi sono illegali, possono averle solo elementi governativi. Certo, devi avere una concordia sociale un po’ diversa da quella che c’è altrove, ma è proprio il concetto che non ci siano armi a farmi impazzire.
Hai citato la terra del rugby e dei grandi personaggi. Eppure tu non ne hai mai parlato..
Perché c’è gente molto più brava di me nel farlo. Il rugby mi piace quando lo faccio per le aziende, come recentemente avvenuto con gli All Blacks che, senza giri di parole, sono unici.
In Italia abbiamo degli unicum?
Si, ma per paradosso si tratta di nazionali, quelle che venivano messe alla berlina dalla critica e dal pubblico. Come nel 1982 e nel 2006.
Molti tra giornalisti, showman o attori di cinema si riciclano nel teatro. Come giudichi questa scelta nel pieno dell’era digitale dove, invece, si ricerca un feeling diverso con il pubblico?
E’ verissimo, hai perfettamente ragione. Ogni volta che un direttore di teatro vede in sala dei ragazzi non ci crede. E’ una forma di espressione culturale antichissima che evidenzia questo contrasto coi tempi più moderni. In Italia le principali fruitrici sono le donne sopra i cinquanta anni, che poi sono le stesse che leggono i libri in maniera dominante. Il teatro è una forma di comunicazione molto diretta, più di altre. Come tutto il resto sul pianeta Terra, anche esso evolverà. Ma non credo che la stessa sorte toccherà al teatrante, figura eterna.
Il provenire dallo sport e da sky può rappresentare un valore aggiunto al fatto di ridurre le distanze con i giovani al fine di avvicinarli al teatro?
Sarebbe bello, quello è il mio obiettivo. Non sono un attore, non posso fare altro che talune cose. Shakespeare, ad esempio, non posso di certo portarlo in scena. Però l’idea che i ragazzi vengano in teatro per approfondire un concetto è bellissimo. Abbiamo citato il secondo emendamento e la costituzione americana: se una persona, grazie allo spettacolo può conoscere maggiormente questo argomento, allora staremo qui a parlare di un successo. Che piaccia o meno sono la nazione più importante al mondo, dobbiamo fare i conti con loro e quindi conoscerli. Il teatro deve essere uno stimolo a conoscere un altro pensiero.
Nella tua carriera da attore, quale è stata la scena che, emotivamente parlando, ti ha più coinvolto?
C’è un passaggio nel finale dello spettacolo su Alì. Lui e Foreman parlano al telefono dopo molti anni e si scambiano la rispettiva visione del mondo. Uno è diventato un predicatore battista cristiano e un altro è un uomo con una visione più ampia del problema. E’ una conversazione pazzesca, il momento più incredibile cui abbia mai partecipato. Si tratta di un episodio vero e il dialogo è stato tradotto alla lettera. Davvero profondo. Non credo mi capiterà mia più una cosa così.
Per chiudere: stiamo assistendo all’era Doncic?
(ride) Beh, ci sono tutti gli elementi per ammettere che sia così. Ma davvero Phoenix, che aveva la possibilità di chiamarlo alla prima scelta, non si è accorta di nulla? Va anche detto che l’Nba si presta a valorizzare un giovane, ma qui siamo oltre. Parliamo di un ragazzo di 20 anni. Deve essere frustrante giocarci contro, soprattutto per i ragazzi di colore che sono molto competitivi. Ma parliamo di uno slavo, quella “razza cestistica” ha una visione del gioco totalmente differente dagli altri. E’ straordinario, si.